Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
ChiesaIn evidenza

Zuppi a Gorizia: «Domandin la pâs al Signôr». Chiese di Italia, Slovenia e Croazia firmano l’appello per la pace

«Cjârs amîs, la pâs e je un regâl di Diu. In cheste serade la domandin al Signôr cun fede e sperance». Sentire il Presidente dei Vescovi italiani invocare il dono della pace in friulano – così come in italiano e in sloveno – è segno di quanto le lingue e le culture possano essere un intreccio vitale per la crescita dell’armonia tra i popoli.

Ciò che è accaduto la sera di martedì 23 settembre a Gorizia è qualcosa che andrà scritto sui libri di storia. Non perché ci fossero folle immense – circa 300 i presenti, complice un meteo poco favorevole – e non perché quelle parole sono state pronunciate in più lingue. No. Il motivo è dato dalla riunione dei rappresentanti delle Chiese di tre Stati europei riuniti nel luogo che più di ogni altro, nella nostra Regione, simboleggia il superamento delle barriere tra i popoli. «Al centro dell’Europa», si è detto.

L’incontro di preghiera si è svolto a margine della sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente della Conferenza episcopale italiana, straordinariamente riunito nella città capitale europea della cultura nello stesso anno del Giubileo. Inizialmente previsto in piazza della Transalpina/Trg Evrope, l’incontro ha avuto luogo nella vicina chiesa di Maria Santissima Regina, per poi spostarsi in processione verso la piazza solcata dal confine. Moltissimi i giovani presenti, tra i quali numerosi scout. Tra i banchi, oltre ai Vescovi del Consiglio episcopale permanente della CEI, anche l’arcivescovo di Udine mons. Riccardo Lamba.

Il presidente dei Vescovi italiani, card. Matteo Zuppi, il presidente della Conferenza episcopale di Slovenia, mons. Andrej Saje e l’omologo per le Chiese di Croazia, mons. Kutleša Dražen, hanno firmato un comune appello per la pace, impegnandosi nella prosecuzione di iniziative di preghiera e di educazione alla riconciliazione. Tre Paesi le cui Chiese si impegnano a un comune cammino di superamento dei conflitti. «Contempliamo – ha detto Zuppi nell’omelia della veglia – una fraternità che è anticipo di futuro perché in cielo, lo sappiamo, non ci sono e non ci saranno confini. Saremo una cosa sola. Non uguali: insieme, come quando ci si ama. Ogni persona porta con sé un pezzo unico dell’unico Dio e l’altro lo completa e fa capire l’utilità di quel pezzo che sono io». «La giustizia e il diritto – ha proseguito il cardinale – siano la regola dei rapporti tra le nazioni. Bisogna avere coraggio della pace».

L’omelia del card. Zuppi

Prima di quella breve frase in friulano accennata in apertura, il Presidente della CEI non ha fatto mancare un cenno alla storia recente della città isontina solcata dal confine. «Da Gorizia, con le sue ferite ma anche con la sua storia e l’esperienza che ha reso le frontiere delle cerniere, i muri dei ponti invochiamo la pace». Parole miti, ma ferme quelle del cardinale Matteo Maria Zuppi. «Pensando ai confini che non ci sono vogliamo dire a chi è nella disperazione e nell’angoscia: la pace è possibile».

Mons. Nicola Ban proclama l’appello per la pace delle Chiese di Italia, Slovenia e Croazia

L’appello per la pace

«Noi, Chiese in Italia, Slovenia e Croazia, leviamo insieme, con forza, il nostro grido di pace e il nostro appello, perché ogni comunità cristiana sia protagonista di speranza, vigile e attiva nel promuovere e sostenere cammini di riconciliazione». Nel testo dell’appello per la pace ogni parola ha un suo peso; ogni frase è ponderata. L’appello proclamato porta in calce la firma del card. Zuppi e, come detto, quella degli omologhi sloveno Andrej Saje (vescovo di Novo Mesto, in Slovenia) e Dražen Kutleša (arcivescovo di Zagabria, Croazia). «La nostra preghiera parte da questo territorio, si estende a tutti i Balcani e si allarga fino ad unire, in un unico abbraccio, Terra Santa, Ucraina e tutte le altre zone insanguinate dalla guerra. Non possiamo restare in silenzio. Il grido che sale da molte parti del Pianeta è straziante e non può restare inascoltato».

La Chiesa italiana, insomma, c’è, si fa sentire e non è da sola. Alza forte il suo grido non soltanto dalle manifestazioni di piazza – lunedì a Roma era presente anche un corteo di preghiera dei “Preti contro il Genocidio”, diverse centinaia di sacerdoti che hanno partecipato alla mobilitazione – ma anche nei suoi più alti livelli istituzionali.

Il card. Zuppi firma l’appello per la pace

Ma non è sufficiente la voce. La Chiesa vuole fare la sua parte con gli strumenti che le sono più congeniali: la preghiera e l’educazione. Entrambe lente, entrambe lungimiranti. È una vera dichiarazione di intenti quella dell’Appello sottoscritto dal cardinale Zuppi: le Chiese di Italia, Slovenia e Croazia, infatti, si impegnano pubblicamente a essere “case della pace” e a promuovere «proposte di educazione alla nonviolenza, iniziative di accoglienza che aiutino a trasformare la paura dell’altro in occasioni di scambio, momenti di preghiera e attività che favoriscano la cultura dell’incontro, del dialogo ecumenico e interreligioso, del disarmo e della solidarietà». La pace ha bisogno della piazza, ma necessita anche di un cammino che giorno dopo giorno faccia crescere soprattutto nei giovani (definiti “germogli di pace”) dei frutti di riconciliazione.

La voce continua a levarsi, libera, oltre le nubi del cielo e dei nostri giorni. «Noi, Chiese in Italia, Slovenia e Croazia, ci impegniamo per il rispetto dell’inalienabile dignità di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale; per la vicinanza ai poveri, ai malati e agli anziani; per la verità e la giustizia come cardini della vita comune; per la libertà religiosa, diritto umano fondamentale; per la riconciliazione e la guarigione delle ferite storiche; per la cura del Creato, che siamo chiamati a custodire e a consegnare alle nuove generazioni migliore di come lo abbiamo ricevuto». In questi ingredienti di libertà si intravede tutta la ricchezza del patrimonio di fede delle Chiese di questo lembo d’Europa. La ricetta della pace richiede un metodo («l’incontro») e un suo stile («la fraternità»). Nella preghiera, le parole finali sono un continuo offertorio della «nostra testimonianza e la nostra azione». Niente di meno.

Giovanni Lesa

Articoli correlati