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Cultura

Quarant’anni fa il miracolo della “Bibie par un Popul”. Convegno a Udine

Era il mese di maggio del 1984 quando, per le edizioni Ribis, usciva il primo fascicolo della traduzione della “Bibie” in lingua friulana, opera di pre Checo Placereani e pre Toni Bellina. Visti i costi della pubblicazione a fascicoli, l’editore optò poi per la pubblicazione in volumi, il primo dei quali vide la luce a fine dicembre 1984, cominciando a circolare nel 1985.
Sono quindi passati quarant’anni dall’avvio di quell’opera monumentale che ha consentito al popolo friulano di pregare nella propria lingua e sentire, come in una conchiglia, «la sô divignince, il struc de sô storie di omp e di cristian», come affermò don Duilio Corgnali, allora direttore de La Vita Cattolica, alla presentazione ufficiale dell’opera che si tenne il 22 giugno 1984 a Palazzo Belgrado, a Udine, alla presenza dell’arcivescovo Alfredo Battisti.

Convegno a palazzo Mantica

Per ricordare l’anniversario di questa monumentale opera, sabato 10 maggio, nel salone d’onore della Società Filologica Friulana, a palazzo Mantica, in via Manin 18 a Udine, alle ore 10, si terrà il 7° convegno “Pre Toni al vîf” intitolato “Bibie par un Popul: une peraule eterne dite te lenghe di nestre mari”.
Organizzato da Comune di Basiliano e Glesie Furlane – Grop Amîs di Pre Toni, l’incontro vedrà gli interventi di don Romano Michelotti, sacerdote che partecipò alla redazione dell’opera, il quale ricorderà le vicende e, come lo definisce lui stesso, «il miracolo di questa traduzione»; di don Renato De Zan, membro della commissione biblica nominata dalle diocesi di Udine, Gorizia e Pordenone ad affiancare i traduttori, il quale parlerà dei limiti e delle difficoltà che l’opera di traduzione comporta; e di Mario Turello che terrà una relazione dal titolo “Bibie par furlan e Bibie furlane”.

L’idea di Pre Checo

Fu pre Checo colui che ebbe l’idea di tradurre la Bibbia in friulano. «Capiva che era necessario dare alla Chiesa gli strumenti, ovvero la traduzione della parola di Dio, per usare la lingua friulana», ricorda pre Romano Michelotti, evidenziando come pre Checo già dai primi anni ‘70 aveva iniziato a tradurre: prima i Vangeli, poi i Salmi e i libri di Isaia e Geremia. Successivamente, grazie all’editore Ribis, si pensò ad un lavoro sistematico. «Era il febbraio 1979 – prosegue pre Romano – e ci trovammo da Ribis, in via Nazario Sauro, dove fu fatta la convenzione e ci si accordò su come procedere».
All’impresa nel frattempo, ricostruisce pre Romano, si era aggiunto anche pre Toni che, dopo il terremoto del 1976, aveva sentito la necessità di tradurre il libro di Giobbe che affronta il mistero del dolore e del male nella storia. Di qui l’offerta di Bellina a Placereani di aiutarlo nella traduzione. «All’inizio – ricorda don Michelotti – pre Checo non era molto entusiasta, voleva essere lui “il Martin Lutero” del Friuli. Tuttavia, dal momento che il lavoro era impegnativo, si accordarono: pre Toni avrebbe tradotto i libri storici, pre Checo quelli profetici e quelli sapienziali».

Subentrò Bellina

Subentrò poi la malattia di Placereani, che sarebbe morto nel 1986, in tempo per vedere il primo volume. E così il lavoro rimase tutto sulle spalle di Bellina, che l’avrebbe concluso nel 1987, con la traduzione del libro del profeta Malachia, mentre nel 1997 la traduzione sarebbe stata fatta propria e pubblicata dalle Diocesi friulane. «Accanto agli ultimi fogli della traduzione – ricorda don Michelotti – pre Toni scrisse: “No mi sint di dî nuie, dome che no podevi plui”. Per lui fu un lavoro sofferto, fatto con una tensione continua e il terrore di non arrivare in fondo, anche per i suoi problemi di salute».
Il lavoro non fu facile. Pre Toni, che non conosceva l’ebraico, utilizzò, su consiglio della commissione biblica, la traduzione italiana, ma anche quella francese e ogni tanto quelle tedesche».

Uno strumento per la Chiesa friulana

Cosa lo spinse a questo lavoro immane? «Senz’altro l’orgoglio di completare l’opera – risponde pre Romano – ma soprattutto il desiderio di dare alla Chiesa friulana uno strumento importantissimo: leggere la parola di Dio nella lingua propria e dei propri genitori assume un valore fortissimo, consente di farla entrare nel più profondo del cuore».
A quarant’anni di distanza, dunque, quest’impresa resta indelebile e il Friuli può andarne orgoglioso. «Nel mondo – conclude pre Romano – si parlano 6.700 lingue, la Bibbia è stata tradotta in 2.355 di esse, ma per intero solo in 600. Che il friulano sia una tra queste è motivo d’orgoglio, soprattutto in un momento come l’attuale in cui c’è bisogno delle culture locali, non per creare muri, ma per la ricchezza che esse portano con sé».

Stefano Damiani

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