Di recente a Ronchis è stato presentato “Fraforeano. Da Furfurius ai de Asarta” di Gianfranco Ellero, pubblicato dalla Società Filologica Friulana.
L’autore e l’editore hanno concesso al nostro giornale la pubblicazione della prima parte di un gustoso capitolo intitolato “I nostri santi”.
Il primo protettore della Chiesa di Fraforeano e della Parrocchia fu Sant’Antonio Abate, detto anche Sant’Antoni di Zenâr, perché si festeggiava il 17 gennaio, e Sant’Antoni dal pursìt, l’animale che accompagnava il Santo in vita e lo caratterizza nell’iconografia: il maiale, vagante e semibrado, nutrito dalle famiglie della comunità, veniva macellato a beneficio dei più poveri. Da qui la locuzione “Al è come il pursit di Sant’Antoni”, adoperata per descrivere una persona che amava bighellonare.
Poi, verso la fine del Settecento, i Calbo-Crotta, edificatori della nuova chiesa parrocchiale, licenziarono, per così dire, Sant’Antonio, e assunsero come protettori Fermo e Rustico, con l’aggiunta di Procolo, i Santi di famiglia, ritenuti peraltro estranei dalla gente di Fraforeano: ci si ricordava della festa in loro onore, il 9 agosto, soltanto perché il Parroco la annunciava dall’altare con una decina di giorni di anticipo.Visto che i nomi dei patroni della Parrocchia sono insoliti, sarà utile ricordare che Fermo e Rustico, raffigurati con statue anche sull’altare maggiore, erano i santi protettori dei Calbo-Crotta. Per loro incarico Giovan Battista Tiepolo dipinse “Santa Grata con i compagni Fermo e Rustico, converte i genitori Lupo e Adelaide principi di Begamo…”. L’opera, appesa nel loro palazzo di Venezia fino al 1902, appartiene oggi alla collezione dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte, ed è catalogata con il titolo di “Santi protettori della famiglia Crotta”.
L’interesse del popolo per un santo è di solito riassumibile nella risposta alla domanda: “che grazie può concedere?”. Non è dunque la vita del santo che interessa, e la sua reale esistenza, come vedremo, ma il suo “potere”.
Una donna del Bando, ad esempio, era convinta che per evitare o limitare la moria dei polli fosse necessario pregare Sante Pulinarie, protettrice dei pollai a suo dire, pulinârs nel friulano locale. Il Parroco in verità aveva parlato in predica dei miracoli di Sant’Apollinare, guaritore di ciechi, infermi, muti, lebbrosi, non di polli!
Il vero Santo del paese, atteso e festeggiato con il “perdon”, era Valentino, il Santo degli innamorati, invocato contro l’epilessia, detta anche mâl di San Valantin, da secoli lontani venerato nella chiesa dedicata a Sant’Antonio.
Alla data della sua festa, il 14 febbraio, è legato persino il proverbio locale “San Valantin sghirlant par corante dîs al siò comant o al va in devant”: se in quel giorno fosse soffiato un forte vento, la ventosità sarebbe durata per quaranta giorni, cioè a lungo.
Ma, la santoralità di una chiesa cristiana può essere molto lunga e profonda: potremmo paragonarla a un iceberg, formato nella parte emergente da San Valentino, da San Biagio, dalla Candelora, dalla Madonna della Salute, e da altri grandi santi, come Pietro, Paolo e Giovanni Battista, venerati con processioni o riti particolari e comunitari, e nella parte sommersa da molti altri venerati “per devozione”, potremmo dire individualmente.
Si tratta per lo più di sconosciuti, per i comuni fedeli, in gran parte presenti nella nostra Chiesa per una reliquia: stiamo pensando a Sant’Aureo, Santa Veronica Giuliani, Santa Maria Maddalena Postel, San Giuseppe Colasanzio, Santa Maria Giuseppa Rossello, Sant’Orsola, e altri.
Non meno sorprendente dell’elenco dei santi, infatti, è quello delle reliquie della Parrocchiale: certa la loro esistenza, ma purtroppo incerta, o meglio ignota, la loro provenienza.
Per spiegare l’alto numero delle reliquie di Fraforeano, dobbiamo ricordare che conferivano prestigio, e si può supporre che siano state donate dalle nobili famiglie titolari del feudo nel corso dei secoli.
Naturalmente il prestigio aumentava se una chiesa poteva vantare la presenza dell’intero corpo di un santo, come San Marco a Venezia, San Nicola a Bari, eccetera. In questi casi molto interessante risulta, sotto il profilo storiografico, il viaggio dalla tomba alla chiesa: il corpo di San Marco, ad esempio, fu trasportato a Venezia sotto uno strato di carne di porco perché così i mercanti veneziani, che l’avevano trafugato nell’828 ad Alessandria d’Egitto, riuscirono a eludere la “dogana” musulmana.