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Luci tra le sbarre

Il carcere fuori dal carcere

Portare “il carcere fuori dal carcere” è parte del ministero di noi padri vincenziani della Congregazione della Missione cui l’Arcivescovo ha affidato questo importante e delicato ministero. Oltre al servizio che svolgo normalmente in Istituto, come ho già avuto modo di raccontare in questa rubrica cerco di fare “cultura” sul carcere e durante l’estate nella Parrocchia di Tricesimo in cui collaboro mi è stata data una bella opportunità.

Insieme al parroco don Dino e agli animatori dell’Oratorio estivo ho proposto di ascoltare la storia di un giovane. Protagonista dell’iniziativa, che rientra nella formazione dei ragazzi, è B. ex detenuto che sta scontando il fine pena con una misura alternativa. È la storia di come un uomo possa davvero cambiare. B. arriva in Italia approfittando di una manifestazione sportiva e vi rimane: con il padre, da irregolare, vive e lavora qua e là, mandando soldi a casa per mantenere la famiglia di origine. Entrambi si trasferiscono in Friuli: il padre fa poi ritorno nel suo paese e lascia a B. il compito di pensare al mantenimento della famiglia lontana. Per un po’ le cose vanno avanti, fino a che B. non compie un errore. Finisce una prima volta in carcere, poche settimane. Ne esce però determinato a mettersi in regola, a farsi una famiglia in Italia e a lavorare alla luce del sole. Il passato lo rincorre: rimproverato dal padre lontano per i pochi soldi inviati a casa, compie un altro grave errore, accecato dal miraggio di un guadagno facile. Implicato in una vicenda non bella, è subito arrestato, ma stavolta la pena è maggiore, si parla di anni. In carcere avviene la trasformazione: B. capisce. Il carcere, la pena detentiva, agisce come dovrebbe essere di norma: aiuta il ragazzo, che prima di essere arrestato la seconda volta era riuscito a formarsi una sua famiglia, gli fa comprendere gli errori e smettere con le dipendenze. Dopo un certo periodo B. accede così alle misure alternative e si ricongiunge a moglie e figlio.

Nell’incontro i ragazzi, in silenzio, erano molto attenti ad ascoltare il suo racconto: quello di un giovane che ha sbagliato, padre di famiglia che sa quello che vuole insegnare ai figli; molto consapevole dell’errore per il quale prova vergogna, ma che sa affrontare con umiltà e forza ogni giorno. È la storia di un uomo che ha toccato l’abisso e ne è uscito, in nome di un amore più grande e gli animatori presenti lo hanno compreso. “Mi ha colpito il passaggio in cui ha detto di non aver mai chiesto a Dio di aiutarlo” ricorda Gaia “di non aver mai pregato chiedendo la forza di sopportare il carcere perché si sentiva in colpa per quello che aveva commesso e riteneva di non meritare un dialogo con Dio, tantomeno il suo perdono”. Francesca sottolinea che B., ancora oggi che lavora da uomo libero come muratore, “più si sforza di fare il proprio dovere più si sente di stare scontando concretamente la sua pena per gli errori commessi nel passato. Ha ammesso davanti noi di aver fatto quello per cui è stato condannato e ha accettato gli errori. Ha parlato del carcere in modo positivo e lo ha definito come una opportunità per fermarsi, pensare e riconciliarsi con se stessi e con Dio”. Un altro piccolo mattone nel cercare di costruire una società più bella.

 

Lorenzo Durandetto
Cappellano Casa Circondariale di Udine

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