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L'editoriale

Quel richiamo al 1914

Ci sono due fatti recenti di cronaca che mi hanno dato la sensazione che in qualche modo l’attuale situazione geopolitica abbia, per così dire, valicato l’ennesimo crinale. Nell’attuale giungla mediatica sono passati piuttosto in fretta dalla prima alle pagine successive, come accade sempre più spesso per le novità importanti, costrette a condividere la ribalta con tante stupidaggini. Non sono forse notizie decisive, tipo quelle che riguardano la fine di una guerra o l’inizio di una crisi, ma a mio parere sono oltremodo rilevanti perché contengono quel quid che ci fa passare di là dallo spartiacque: sono come quel piccolissimo granello di sabbia o quella impalpabile gocciolina d’acqua capaci di provocare il collasso della duna o il ribaltarsi del secchio. O almeno di dare la percezione che ciò sia effettivamente appena accaduto.

Da una parte il presidente USA Donald Trump, con l’ennesimo ordine esecutivo ha cambiato nome al Pentagono: se dai tempi di Truman si chiamava “Dipartimento della Difesa” ora si chiama “Dipartimento della Guerra”. E dopo pochi istanti dallo svolazzo di penna del comandante in capo delle forze armate statunitensi il dominio internet “defense.gov” si è mutato in “war.gov” (vedere per credere!). Per Trump vuole essere “un messaggio di forza”, l’affermazione “che abbiamo l’esercito più forte del mondo”. Concetto ribadito e amplificato dallo stesso capo del Pentagono, Pete Hegseth: “Andremo all’attacco, non solo in difesa”. Parole, direte voi, solo parole. Sì, forse, ma che non sono pensate per rassicurare. Parole che si accompagnano a gesti, a dichiarazioni, a forzature del protocollo, a liste di proscrizione (amici e nemici!), ad una costante messa in imbarazzo delle logiche tradizionali della diplomazia. Che provocano quantomeno disorientamento. E non possono più essere affrontate con un’ironica alzata di spalle.

Dall’altra parte c’è una dichiarazione, anche qui passata quasi sotto silenzio, del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Che, nella conferenza stampa seguita all’incontro ufficiale di Lubiana con la sua omologa Nataša Pirc Musar, ha dichiarato, rispondendo alla domanda di un giornalista sull’attuale situazione internazionale: “ci si muove su un crinale in cui, anche senza volerlo, si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata”. E ha fatto un preciso riferimento a quel luglio del 1914, alla vigilia della Grande Guerra, “che forse nessuno voleva far scoppiare, ma l’imprudenza dei comportamenti – come spesso è avvenuto nella storia – provoca poi conseguenze non scientemente volute, ma ugualmente provocate dai comportamenti che si mettono in campo”. Ha concluso Mattarella con un vero e proprio grido d’allarme che deve farci riflettere: “il rischio estremamente alto – ha detto – è che, senza rendersene conto, si scivoli […] in un conflitto di dimensioni inimmaginabili e incontrollato”.

Parole, anche qui, ma parole che provengono da un leader che si è sempre dimostrato saggio e responsabile. Da uno che viene da quei tempi in cui in Europa usare la parola “guerra” era sentito come un insulto, una bestemmia. Da anni in cui democrazia, sicurezza e libertà andavano sempre a braccetto con la pace. Figlio di quella temperie politica e culturale che ha partorito l’articolo 11 della Costituzione, con quel meraviglioso e lapidario “L’Italia RIPUDIA la guerra”. Dove quel verbo è un monito: a dedicare tutto il nostro odio non agli altri (come vorrebbe oggi la logica dei social in cui si nascondono gli odiatori da tastiera) ma alla guerra in sé, il male assoluto dell’umanità.

Ma in quel 1914 citato dal presidente della Repubblica, effettivamente che cosa è accaduto? Per capirlo basterebbe rileggere alcune pagine de “Il mondo di ieri” di Stefan Zweig; oppure parafrasare le parole del socialista francese Jean Jaurès, pacifista convinto che venne assassinato pochi giorni prima dello scoppio della Grande Guerra. Le sue espressioni risultarono profetiche e dovrebbero essere di ammonimento anche oggi: “Ciascun popolo appariva per le vie dell’Europa con la sua piccola torcia alla mano ed ora ecco l’incendio”. Le tensioni internazionali si stavano accumulando da anni, l’elastico veniva tirato con forza da tutte le parti. Fino a che si è rotto e i popoli che acclamavano alla guerra ne hanno pagate le conseguenze più gravi. Non i potenti, non i politici o i generali: i semplici, gli umili, la maggior parte.

Il richiamo di Mattarella è per questo motivo serio e circostanziato. La combinazione di chi alza costantemente i toni a livello internazionale, sparge odio a tutti i livelli, crea scientemente caos e allo stesso tempo opera per ridurre gli spazi del confronto e della trattativa diplomatica ci sta conducendo in spazi incogniti e per la contemporaneità inesplorati. Popoli armati fino ai denti e popoli che per la propria “sicurezza” vorrebbero armarsi ancor di più, società sempre più polarizzate al loro interno: ognuno, appunto, “con la sua piccola torcia alla mano”.

In tutto questo l’ONU dimostra tutta la sua precarietà d’azione, le dittature si espandono e le democrazie si infragiliscono progressivamente sotto le bordate di leader innamorati solo del proprio potere.

Come ne usciremo? Certo non nascondendoci dietro a un dito; sicuramente contribuendo tutti ad abbassare i toni e stigmatizzare gli urlatori seriali; ripetendo a ogni piè sospinto che la guerra è davvero il peggiore dei mali; non spaventandoci della complessità, ma cercando di capirci qualcosa con i mezzi che abbiamo a disposizione; rifuggendo dalle squille che predicano odio e individuano solo nemici tra chi non la pensa come loro; rispolverando quel lessico di pace che abbiamo per troppo tempo dato per scontato…

Ricordandoci e provando a mettere in pratica quel passo di Matteo che recita: “siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”.

Luca De Clara

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