Lunghi applausi hanno fatto seguito ad entrambe le rappresentazioni dello spettacolo “Il pulsante”, portato in scena dall’attore e regista Andrea Carabelli venerdì 7 novembre all’auditorium dell’Istituto Bearzi a Udine. E particolarmente calorosi, lunghi e ripetuti sono stati gli applausi tributati allo spettacolo dai 220 studenti della Scuola secondaria di primo grado, che hanno posto anche alcune domande proprio a Carabelli, chiedendo anche consigli per usare al meglio la tecnologia.
Ma anche dopo la seconda rappresentazione, rivolta a tutti, genitori, docenti e studenti, sono stati tanti i quesiti sottoposti a Luca Botturi, autore dello spettacolo e docente di “Media in educazione” alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, collegato in video da Locarno.
E il professore si è reso disponibile con la Vita Cattolica per alcune domande sui temi dell’intelligenza artificiale, dei social media e del web, precisando subito che «gli adulti costituiscono il modello di riferimento per i giovani. Genitori, docenti e maestri di scuola sanno benissimo che educhiamo molto di più con il nostro modo di essere, di fare, che non con ciò che diciamo. Quindi, possiamo insegnare delle cose, ma educhiamo solamente essendo noi stessi. Perciò, è veramente importante che noi diamo l’esempio».
Professore, perché ha scritto lo spettacolo “Il pulsante”?
«Sono un grande appassionato di tecnologia e mi sta a cuore che essa torni a essere uno strumento per fare delle cose».
Quando si verifica questa dimensione?
«Utilizzando la tecnologia con un obiettivo. In quel momento diventa uno strumento potentissimo. Posso guardare nello spazio infinito, curare malattie, mettermi in contatto video da un polo all’altro del mondo. Invece, nel momento in cui sono succube della tecnologia, oppure mi lascio trascinare perché sono stanco, divento parte di un ingranaggio potentissimo e perdo il controllo».
Cosa vuol dire educare in famiglia all’utilizzo della tecnologia?
«Si tratta di creare in casa spazi e momenti con le tecnologie non al centro, in cui siamo disconnessi. Ad esempio, possiamo decidere che a cena non ci siano telefoni, o che dopo una certa ora tutti spengano i cellulari, oppure che facciamo delle uscite senza i telefoni, o decidiamo di utilizzarli con un obiettivo, per fare fotografie dei paesaggi, o per cercare una strada, per trovare un posto; e poi si spengono».
Ma la normalità può essere data da decine di notifiche.
«In quel caso, un’operazione da 2 minuti, impegna almeno per 20. Ed è il momento in cui veniamo mangiati dalla tecnologia. Perciò, è importante creare a casa degli spazi liberi dai cellulari, con qualche regola e con il nostro dare l’esempio, che corrisponde a tanto autocontrollo su di noi».













