Dalla Sardegna è di recente tornato a casa – a Sutrio, nel cuore della Carnia – con in tasca la menzione “Miglior testo” per la sua “Sunsûr” (Sussurro), prestigioso riconoscimento ricevuto alla 17ª edizione del “Premio Parodi”. Si è esibito davanti al pubblico del Teatro Massimo di Cagliari nell’ambito dell’iniziativa nata per ricordare il musicista Andrea Parodi (prima di intraprendere la carriera da solista è stato a lungo il cantante dei Tazenda) e per sostenere artisti emergenti nel panorama della musica etnica e tradizionale.
“Dilà di un balcon in sclêse si sint il tramont ch’al tas puartansi daûr ‘ne storie come che ognun al fâs – sono le parole iniziali di “Sunsûr” echeggiate sul palco sardo –. Reste cun me Ninine reste fin ch’al ven clâr. Cumò che ai vendût las steles il scûr un tic poure al fâs…”. Si è, dunque, esibito dal vivo cantando in friulano – «nella variante carnica», tiene a precisare – e il testo della canzone contenuta nel suo ultimo Cd, intitolato “Gotes”, è piaciuto alla giuria del Concorso internazionale che lo ha scelto tra una dozzina di brani, premiandolo con la Menzione. «Sono felicissimo del risultato – ammette –, perché sono riuscito a trasmettere sentimenti e sensazioni a tutti coloro che ascoltavano. È sempre una grande emozione suonare e vedere che la gente si appassiona, nonostante la maggior parte non comprenda il testo. Spesso, in particolare fuori regione, capita che dopo un concerto le persone vengano a farmi i complimenti, dicendo “mi è piaciuto anche se non ho capito il testo”. Ciò significa che la musica è davvero un linguaggio universale».
Classe 1995, Alvise Nodale è cantautore, compositore, poli-strumentista e, come sottolinea sorridendo, «da quest’anno musicista a tempo pieno». «Vivere di musica non è facile – ammette –, quindi fino a poco tempo fa in parallelo alla mia grande passione ho fatto anche altro, lavorando al Rifugio De Gasperi, al Pian dei Ciclamini, consegnando pane…».
Ma oggi Alvise canta di mestiere ed è arrivato a pubblicare il suo terzo album. E pensare che tutto è cominciato da un desiderio messo nero su bianco nella letterina a Babbo Natale, quando aveva 8 anni. «Ho chiesto una chitarra e sono stato esaudito – racconta –; la passione per le sette note è nata grazie all’insegnante di musica delle elementari». Niente meno che Lino Straulino, pure lui originario di Sutrio, è cantautore, compositore, chitarrista e poli-strumentista, con cui nel 2019, insieme anche ad Alessia Valle, ha fondato il trio acustico “Villandorme” incentrato sullo studio e sul ri-arrangiamento di alcune ballate popolari italiane.
Un passo indietro: la chitarra dell’infanzia, rimasta sempre sullo sfondo, è stata sostituita – quando aveva circa 16 anni – da una elettrica. E come chitarrista di un gruppo rock nato tra amici, si è esibito in molte località della regione. Poi, quando l’esperienza è giunta al capolinea – «siamo cresciuti e ognuno si è dedicato ad altro» – Alvise quella chitarra – strumento a cui si è avvicinato da autodidatta – non l’ha più abbandonata. Compagna inseparabile anche quando ha iniziato a comporre in friulano, nella variante carnica, otto brani che sono confluiti nel suo disco d’esordio, autoprodotto, dal titolo “Conte Flame”. Era il 2015. Una sorta di rampa di lancio perché da allora il giovane “poeta” carnico si è fatto conoscere sempre più, ritagliandosi un posto di tutto rispetto nel panorama del canto popolare friulano.
«Compongo i brani in maniera del tutto naturale, non è una necessità, ma è qualcosa che ho dentro e che a un certo punto esce. Inizio con qualche nota, poi le parole arrivano. Io penso in friulano, quindi scrivere un testo nella lingua che ho sempre parlato non è qualcosa che mi impongo».
Alvise – che suona anche mandolino, harmonium e percussioni, sempre da autodidatta – ammette che un “aiuto” arriva di certo dalla bellezza dell’ambiente in cui vive, dall’aria e dai boschi che hanno scandito la sua infanzia. «Quando apro la finestra, la montagna è “addosso” alla mia camera, ma è qualcosa che c’è sempre stata, ormai mi appartiene, è dentro di me…». E aggiunge: «In linea di massima una canzone mi piace appena la scrivo, anche se poi la lascio “riposare”. Se una settimana dopo il mio sentimento è lo stesso, vuol dire che è quella giusta. Ho scritto e accantonato molto – ammette –, ma di solito ciò che finisce in un cassetto potrebbe essere rispolverato in un altro momento»…
L’articolo completo, a firma di Monika Pascolo, è pubblicato sul numero del 13 novembre 2024 de “la Vita Cattolica”.