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L'editoriale

Azzardo sul futuro

Sin dagli anni Duemila le associazioni che rappresentiamo – A.git.a. Campoformido e And Varese – seguono lo sviluppo del “settore gioco” attualmente in fase di riordino legislativo. Ci occupiamo principalmente delle persone e famiglie gravate da un Disturbo da Gioco d’Azzardo (Dga), conosciamo dunque molto bene l’impatto di questa patologia, ed esprimiamo la nostra preoccupazione per vari aspetti contenuti nell’Atto di Governo n°116 (riordino del settore dei giochi).

Sebbene la materia sia estremamente articolata, la necessità di sintesi e l’urgenza del momento ci impongono di evidenziare solo alcuni punti, evidentemente non esaustivi, ma cogenti a rappresentare alcune delle nostre preoccupazioni.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (2018) un milione e mezzo di persone maggiorenni sono affette da Dga, quasi altrettante hanno comportamenti di gioco d’azzardo a rischio moderato. Sempre secondo questo studio, tra chi gioca, quasi un giocatore su tre manifesta comportamenti di perdita di controllo a qualche livello. In aggiunta, il gioco d’azzardo tra i minorenni, nonostante i divieti, è praticato da almeno il 29%, con già manifestazioni problematiche e a rischio nel 6,5% degli under 18.

Si stima che il comportamento di gioco d’azzardo, a qualsiasi livello di rischio, impatti negativamente anche su chiunque sia in rete con un giocatore: familiari, parenti, amici, datori di lavoro, colleghi, dipendenti, imprenditori. In relazione a questa ampia e variegata platea di persone, ricerche scientifiche accreditate condotte su popolazioni estere hanno rilevato un “danno collaterale” quantificabile in almeno 5 altre persone colpite di riflesso, che patiscono costi tangibili e intangibili, oltre al giocatore.

Rapportati ai soli giocatori con Dga, stiamo parlando di almeno 7.500.000 di persone che sono vittime di “gioco d’azzardo passivo”. Quindi, l’azzardo in Italia attualmente travolge negativamente almeno 9 milioni di persone.

I danni al giocatore e alla sua rete sociale, ristretta e allargata, si manifestano sia nella fase critica, ma anche più precocemente, e vi sono danni che si trascinano anche quando il comportamento di gioco d’azzardo viene interrotto.

La natura di tale impatto sulla qualità della vita è molteplice: oltre agli evidenti danni finanziari, vengono danneggiate profondamente anche le relazioni, aumentano i conflitti, si annienta la fiducia, si genera disagio emotivo e psicologico, si cagiona maggior morbilità e mortalità, si creano problematiche sul lavoro e nello studio, si producono comportamenti di trascuratezza delle proprie responsabilità, sino ad arrivare al compimento di vere e proprie azioni criminali.

La letteratura scientifica internazionale stabilisce nell’1% del proprio reddito il tetto di spesa massimo da investire in giochi d’azzardo, affinché restino contenuti i rischi, e che giocare più denaro, più a lungo e più frequentemente di ciò che ci si può permettere, indica con certezza l’avvenuta perdita di controllo da parte del giocatore sul proprio comportamento, evento che determina ineluttabilmente le conseguenze negative sopra esposte.

Visto poi che vi è stata da parte del Governo un’attenzione agli aspetti puramente economici dell’operazione in oggetto, si evidenzia che in Svizzera hanno stimato che i loro 120.600 giocatori tra patologici e problematici, costano in un anno alla Confederazione l’equivalente di circa 100 milioni di euro.

Rapportando queste cifre all’Italia, a fronte di quasi 3 milioni di giocatori patologici e problematici, il costo annuo sarebbe di quasi due miliardi e mezzo di euro. Senza contare il costo (analogo) per i familiari e altri terzi colpiti per via indiretta (altri 14 miliardi e mezzo di euro).

Famiglia, coesione sociale e gioco d’azzardo quindi non vanno d’accordo.

E lo sviluppo sano di un Paese, neppure.

Promuovere gioco d’azzardo nella popolazione a fronte di introiti “interessanti” per lo Stato, ha anche quindi dei costi tangibili e intangibili che andrebbero almeno valutati e bilanciati con le entrate attese, prima di azzardarsi a compiere passi che mirano a migliorare la situazione, ma che invece rischiano di peggiorarla.

Contare sulle risorse provenienti dall’azzardo legale per i bilanci pubblici, come pure ipotizzare di condividerli con le Regioni (per il 5%, come si è sentito dire in questi giorni) implica cementare la dipendenza dall’azzardo del nostro Stato: un pericoloso imbuto.

Ci chiediamo: quali misure sono state prese e quali forme di monitoraggio sono previste dall’atto parlamentare in oggetto, per osservare l’andamento e contenere questa situazione che genera i numerosi danni sopra esposti? Possiamo accettare in uno stato di diritto un modello di regolazione complessivo come quello in essere e in fieri, basato su un uso pubblico di interessi privati organizzati?

Ci parrebbe saggio soffermarsi sui costi reali che qualche spicciolo per l’erario, in raffronto al volume di denaro investito, produce non solo sui singoli, bensì sulla collettività, e sugli effetti iatrogeni di questo “mercato”, sul benessere e sulla qualità della vita dei cittadini, giocatori e non giocatori. Esprimiamo la nostra preoccupazione laddove le normative sul gioco d’azzardo nel nostro Paese non venissero quanto prima riorientate nel quadro della tutela della salute pubblica, piuttosto che in quello di ricavarne (supposti) benefici economici.

Riteniamo infine necessaria l’adozione di un approccio che tenga conto della multidimensionalità del fenomeno, dei diversi aspetti e problematicità, con una speciale attenzione alle interdipendenze.

Uno Stato che impoverisce i suoi cittadini, li priva – e si priva – del futuro.

 

Daniela Capitanucci
presidente AND-Azzardo e Nuove Dipendenze Aps

Rolando De Luca e Dario Bencic
psicoterapeuta e presidente di A.GIT.A. Associazione per i giocatori d’azzardo e le loro famiglie

(Questo intervento è stato spedito dagli autori anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella)

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