Come sono andate le elezioni europee 2024? Lo abbiamo a Matteo Zanellato, docente a contratto presso l’Università di Padova, esperto di politica comparata e di politica europea. «Partiamo dal dato per eccellenza – esordisce Zanellato –, vale a dire quello che è successo in Francia: Marine Le Pen ha doppiato i voti del partito di Macron. Qui c’è la prima rottura del quadro politico europeo tradizionale: un partito di destra, dichiaratamente euroscettico, ottiene circa il 31% dei voti. Si tratta di un dato molto importante, perché vediamo i partiti tradizionali francesi in difficoltà: il Partito socialista, assorbito da una sua costola (“La place publique”) che ottiene il 13,8%; mentre il partito gollista, “Les Repubblicains”, si ferma addirittura al 7,3%. Questo dato fa dire – penso ai telegiornali di questi giorni – che sta soffiando il “vento di destra” nel Parlamento europeo».
E invece?
«E invece i vincitori veri sono i Popolari che aumentano circa dell’1,5% i loro seggi in Parlamento. Anche i socialisti, che sembravano fossero i perdenti di questa tornata elettorale, tutto sommato hanno tenuto: hanno perso solo l’1,5% dei seggi».
E chi sono gli sconfitti?
«I Liberal-democratici e i Verdi, che perdono rispettivamente il 3% e il 2% dei seggi».
La vittoria della Le Pen non potrebbe essere ricondotta piuttosto a una questione di politica interna francese?
«Sicuramente le elezioni europee vengono considerate come una “midterm election”, come espressione dell’apprezzamento o del rifiuto del governo nazionale. Faccio fatica a pensare che il 30% dei francesi intenda uscire dall’Unione europea o favorire la Russia, disimpegnandosi dal sostegno all’Ucraina… Penso sia meglio interpretare questo risultato come il segno di uno scontento generale in Francia».
Quale sarà ora la configurazione della maggioranza in Europa?
«Credo sia difficile vedere un’alternativa a quella proposta fino ad ora da Ursula von der Leyen. Il suo partito è cresciuto nei voti ed il Ppe è il primo partito… E, pertanto, spetta ai popolari governare per altri cinque anni. Magari trovando un accordo anche con i Verdi e i Liberali».
Ma allora perché si parla di “un voto di protesta”, se di fatto è molto probabile che si proceda in una linea di profonda continuità?
«In realtà, un voto di protesta c’è stato: pensiamo soprattutto ad una serie di partiti che sono andati a rimorchio dell’alleanza Socialisti e Popolari. Penso in particolare, come già detto, ai Verdi e ai Liberali. D’altra parte, è anche vero che il “botto” che dovevano fare i partiti euroscettici non c’è stato. “Identità e democrazia”, dove si collocano la Le Pen e Salvini, sembrava potesse essere il terzo partito… Dall’altra parte, i “Conservatori e Riformisti”, con a capo la Meloni, sono passati dall’8 al 10% dei seggi in parlamento: va detto che i partiti di questo gruppo – Conservatori e Riformisti – è cosa diversa da Identità e democrazia; parlano sì di un’Europa delle nazioni, però è da vedere come si comportano quando hanno delle responsabilità di governo. La Meloni, ad esempio, da quando è al governo, ha cambiato diversi aspetti del suo modo di vedere l’Unione europea».
Venendo all’Italia, chi ha vinto?
«Bisogna riconoscere che ha ottenuto un ottimo risultato Giorgia Meloni, che ha aumentato i consensi rispetto alle elezioni di due anni fa, crescendo di oltre due punti percentuali. Ottimo risultato ha ottenuto anche il Partito democratico, che è cresciuto di cinque punti percentuali rispetto alle ultime elezioni politiche. Molto bene sia Forza Italia che diviene il quarto partito, con quasi il 10% dei voti, sia Alleanza Verdi e Sinistra, con oltre il 6%».
E chi ha perso?
«Lega e Movimento 5 Stelle escono un po’ malconci da questa tornata elettorale. Bossi, solo qualche giorno fa, aveva detto che avrebbe votato Forza Italia, in aperto conflitto con Salvini. E non ci si aspettava un M5S al di sotto del 10%».
La Lega ha giocato la carta Vannacci, che si è rivelata, per ora, vincente…
«Vannacci ha portato oltre 500 mila preferenze, che sono tantissime. Tuttavia, è da capire quanto Vannacci risponderà alle logiche di partito: un indipendente, che viene eletto in un partito e che prende così tante preferenze, è chiaro che poi pretende una voce in capitolo nel dettare la linea politica. Mi chiedo come il nord (e anche il nordest) accetterà una linea politica che poi verrà influenzata da un generale, un ufficiale dell’esercito… Qualche amministratore del nord non ne sarà molto contento. Credo che prima o poi una resa dei conti interna dovrà avvenire tra la linea Salvini-Vannacci e quella degli amministratori del nord».
Non possiamo dimenticare, inoltre, che un elettore su due è rimasto a casa…
«Certo, ed è un messaggio politico anche questo. Per un italiano su due, nessuno dei leader politici nazionali è in grado di trasmettere un sogno, una visione del domani, capace di mobilitare l’elettorato».
Non c’è un po’ di pigrizia e di qualunquismo in questa scelta?
«Non dobbiamo dimenticare – come ha detto qualcuno recentemente – che “gli elettori hanno sempre ragione”, se ci riferiamo a contesti di democrazia liberale. Se un elettore su due decide di non votare, non può essere solo pigrizia o l’elettore populista deluso che non vota più. C’è anche una mancanza effettiva da parte dell’offerta politica. Pensiamo a quel 6-7% di elettori che non sarà rappresentato nel Parlamento europeo a causa delle scelte dei loro leader: mi riferisco a Renzi e Calenda. Quindi, l’offerta politica (e anche certi personalismi) incidono sull’astensionismo. Tutto questo merita una seria considerazione».
Alessio Magoga