Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1, 14-20)
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Parola del Signore.
Commento al Vangelo del 21 gennaio, III Domenica del Tempo ordinario (Anno B)
A cura di don Alberto Santi
Le letture di questa terza domenica del tempo ordinario sono per noi preziosa occasione per sostare, qualche momento, sul significato della parola conversione. Anzitutto la conversione non è un qualche cosa che riguarda solamente i non credenti o i lontani dalla fede; tutti abbiamo continuamente bisogno di convertirci. Inoltre la conversione, intesa in senso evangelico, non è sinonimo di rinuncia, è piuttosto fare un salto in avanti ed entrare gratuitamente nel Regno; afferrare la salvezza che è venuta a noi per libera e sovrana iniziativa di Dio.
Convertitevi e credete. Questo comando del Signore non intende due cose diverse e successive, ma la stessa azione fondamentale: convertitevi cioè credete, convertitevi credendo.
Diversi sono però gli atteggiamenti che, anche per noi cristiani, possono ostacolare il nostro progredire sulla strada della conversione.
Un primo ostacolo è certamente la mancanza di speranza. Nonostante papa Francesco ci inviti continuamente a non farcela rubare, ne siamo sempre più privi. Si aspetta, ci si lamenta, ma mancano le buone idee e la capacità di realizzarle insieme, quando addirittura non si prova un gusto amaro a bloccare quelle degli altri. E questo porta a non fare scelte definitive: il “per sempre” spaventa, nessuno vuole rischiare, nessuno vuole investire sulla sua capacità di amare. Ecco che si va avanti a “per ora”: “per ora” stiamo insieme, “per ora” ci amiamo e poi… cuissà!
Una società senza speranza non riesce a dare spazio ai giovani: rischiamo di rimanere bloccati, come caduti in una palude, attaccati al nostro pezzettino di potere e di presunto prestigio o, anche soltanto, a tante nostalgie.
Un secondo atteggiamento che ostacola la via della conversione è quello di vivere come se Dio non ci fosse o, forse, più elegantemente, di ridurlo ad una specie di bandiera, utile soltanto per rivendicare e difendere la nostra identità. Ma Dio è Dio di tutti, tutti apparteniamo a Lui. E Lui non appartiene a noi, non è a nostro servizio.
L’esempio di Giovanni il Battista, con il cui arresto si apre la pagina di vangelo odierna, è molto chiaro. Esprime il rifiuto delle pratiche di facciata, i riti solo esteriori e chiede, invece, l’autenticità di un rapporto con Dio nella verità di noi stessi come singoli e come comunità.
Un ultimo atteggiamento può essere quello dell’indifferenza. Dio però non è mai indifferente. Ogni uomo gli sta a cuore. Egli ci conosce e personalmente ci chiama per nome. Il suo sguardo si posa con affetto, come sui primi quattro discepoli, su ciascuno di noi; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade.
Può avvenire però che quando stiamo bene, ci dimentichiamo degli altri, non ci interessano più i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono. Ecco che il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sono comodo, mi dimentico degli altri. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione “mondiale”.
Il Signore non ci minaccia, ma ci fa un’offerta grande, un invito alla libertà e alla gioia. Dio ci ama e ci dona un tempo di conversione. Non un tempo di nostri sforzi, che sappiamo essere il più delle volte inutili, ma un tempo dove accogliere con abbondanza la sua grazia.
don Alberto Santi