Dal Vangelo secondo Marco Mc 4,26-34
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Parola del Signore.
Commento al Vangelo del 9 giugno 2024,
XI Domenica del Tempo ordinario
A cura di don Nicola Zignin
Cosa può fare un cuore che si abbandona a Dio? In sé niente, per la semplice ragione che il cuore umano è povero, tuttavia proprio perché abbandonato a Dio, un cuore umano può essere capace di cose straordinarie, per i meriti di Colui a cui si è abbandonato.
Il segreto è lasciarsi fare, il punto di partenza è riconoscere chi si è.
Il Vangelo di questa domenica parla di un seme gettato sul terreno, e la prima domanda che deve farsi l’uomo è: «Che terreno sono?». Perché nessuno può accogliere un minimo seme della Parola di Dio, se il terreno su cui cade quel seme non è buono. Ognuno deve riconoscere se è “asfalto”, ovvero se è così pieno di sé che fino a quel momento non ha avuto nella vita altro riferimento che se stesso, se è “terreno sassoso”, ovvero se nella sua vita dominano le emozioni del momento, che inducono a farsi trasportare da ogni vento di piacere. Ognuno deve riconoscere i rovi che nascono in quel terreno, il cercare di tenere insieme il bene e il male, il diavolo e l’acqua santa, il voler godere della Grazia di Dio e allo stesso tempo del piacere del peccato. Solo chi è disposto a vedere i mali del suo terreno, e assieme a Dio, a prepararlo per la semina, può poi godere del frutto. Tutto parte dalla purezza di cuore, che è il terreno buono dell’umiltà, in cui può essere seminato il seme della grandezza. Compito dell’uomo è tenere fisso lo sguardo su Dio e chiedergli con cuore sincero di fare la sua volontà, compito di Dio è il resto. Un cuore puro, abbandonato in Dio, si sente ogni giorno custodito da una tenerezza e da una forza che non è sua, si sente accompagnato a fare piccoli passi, in un grande stato di nascondimento; assieme a questo vede però un mondo che piano piano volge lo sguardo su di lui, come fosse diventato un riferimento per tanti. In cuor suo non può negare di vedersi crescere e notare come il suo frutto diventi sempre più copioso e la sua azione porti ristoro a molti, allo stesso tempo rileva che la forza che sta facendo questo in lui non è propria, ma è frutto di un grande dono che egli sta solo facendo operare nel suo cuore.
Nella vita di ogni santo si vede questo, da una parte il riconoscimento della propria piccolezza, dall’altra lo stupore dell’immensa opera di Dio in un cuore che ha trovato in Esso il fondamento di ogni sua gioia. Un moto interiore destinato a diventare contagioso, poiché i santi producono altri santi. Nella vita di ognuno di loro troviamo un maestro, qualcuno che prima ha vissuto questa umiltà di cuore e il frutto di questo abbandono a Dio, da cui essi hanno tratto ispirazione e fondamento, per poi assieme a Dio, costruire in maniera originale e straordinaria la loro persona e il Regno di Dio in mezzo agli uomini. Tutto questo con una solidità che anche a distanza di secoli continua ad essere ammirata e ad essere luogo di rifugio e di ispirazione per molti, pensate al granello di senape seminato nel cuore di San Francesco d’Assisi, al grande albero che è divenuto San Francesco con il suo ordine, o al nido che il giovane Carlo Acutis ha costruito sotto i suoi rami, per poi, impercettibilmente di giorno in giorno, diventare egli stesso un grande albero, sotto il quale giovani e meno giovani trovano ristoro e ispirazione per spiccare il loro volo e continuare questo circolo virtuoso di santità.
don Nicola Zignin