Dal Vangelo secondo Marco Mc 10, 2-16
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Parola del Signore.
Commento al Vangelo del 6 ottobre 2024,
XXVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
A cura di don Alberto Santi
La maggior parte delle recenti pubblicazioni aventi come tema il sacramento del matrimonio e la famiglia sono state sollecitate da un’emergenza pastorale che ormai da diverso tempo constata una profonda crisi ed incomprensione di questo sacramento. Tuttavia 2000 anni fa la situazione non doveva essere migliore, se Gesù stesso ha sentito la necessità di precisare alcune cose e di correggerne altre.
Nel Vangelo che ascolteremo domenica così sembra dirci il Signore Gesù: fino a quando la scelta di vita matrimoniale rimarrà racchiusa in un orizzonte unicamente umano e di convenienza, sarà condannata a morire di stenti. È necessario invece recuperare la sua dimensione originaria ed il suo valore vocazionale, unica strada capace di dare respiro ad una autentica comunione di vita.
L’uomo infatti non esaurisce la propria esistenza esercitando una signoria sul creato, ma porta in sé una vocazione insopprimibile all’incontro con l’altro, in un’autentica comunione con lui. Questa fedeltà trova il suo naturale esito nel matrimonio che porta con sé la possibilità di progettare, seminare e raccogliere frutti fino l’ultimo giorno. Naturalmente tutto questo non è un voler chiudere gli occhi di fronte alle croci e alle tante difficoltà della vita coniugale; Gesù conosce l’uomo, conosce la fragilità e la caducità che lo contraddistinguono. Infatti, anche di fronte alla spinosa questione del ripudio, Gesù non emette sentenze, ma sceglie un annuncio.
Un annuncio che la Chiesa è chiamata oggi a ripetere guardandosi bene però dal cadere nella logica dei farisei del nostro tempo. Il rischio è sempre presente: ergersi a giudici del mistero grande della situazione matrimoniale di due persone e fare delle parole di Gesù un’occasione di condanna per chi ha sperimentato il fallimento.
Il Vangelo fa opera di prevenzione, più che di repressione.
Oggi il matrimonio risente della mentalità corrente dell’usa e getta, credo possiamo confermarlo in molti: se nelle nostre case un apparecchio o un oggetto subisce qualche piccolo danno, non si pensa a ripararlo (sono d’altronde scomparsi coloro che facevano questi mestieri), ma subito a sostituirlo. Si vuole tutto nuovo di zecca. Applicata al matrimonio, questa mentalità risulta errata e micidiale.
L’invito del Signore è allora quello di riscoprire un’arte dimenticata in cui eccellevano le nostre nonne e le nostre mamme: il rammendo! Alla logica dell’usa e getta bisogna ritornare quella dell’usa e rammenda.
Ormai quasi nessuno pratica più il rammendo; sembra sia disonorevole portare un pantalone o una maglia rammendati. Ma se non va più di moda sui vestiti, bisogna almeno applicare quest’arte sul matrimonio e più in generale sulle relazioni che come cristiani siamo quotidianamente chiamati a vivere. Rammendare gli strappi e rammendarli subito; chi praticava il rammendo sapeva bene che bisognava intervenire presto perché con il passare del tempo lo strappo si allargava e il tutto diventava molto più complesso.
In questa stagione balorda un raffreddore, se curato in tempo, si può fermare in un giorno; dopo che è scoppiato, non basta una settimana. Soltanto in questo continuo cammino di strappi e ricuciture, di crisi e di superamenti, il matrimonio non si sciupa, ma anzi cresce, si affina e migliora.
don Alberto Santi