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Il Mago Flip: «A Gaza, tra morte e bombe, regalando un sorriso ai bimbi»

Nel suo zaino sono tre le cose che non possono mancare: i giochi di magia, la macchina fotografica e il kit medico. Ha all’attivo più di 80 missioni in zone di guerra, dall’Ucraina a Gaza, dal Libano alla Siria, dalla Bielorussia all’Iraq. In questi luoghi Mattia Bidoli, in arte Mago Flip, operatore umanitario friulano di Palmanova, classe 1985, porta i suoi spettacoli di magia nell’ambito delle campagne del Mental Health Program, regalando sorrisi e attimi di spensieratezza laddove la morte è realtà quotidiana. «La magia è una forma d’arte che comunica in modo universale, perché è istantanea – spiega –. Al suo cospetto si può reagire soltanto in due modi: con la risata o rimanendo a bocca aperta, stupefatti».

Tutto per Mattia è cominciato da un naso rosso e dai giochi di prestigio dedicati ai piccoli pazienti dei reparti di pediatria e di oncologia pediatrica all’Ospedale di Udine con l’associazione Friulclaun che poi, tramite una fondazione, a 22 anni l’ha portato in Bielorussia. «Non ero mai uscito dall’Italia in vita mia, non avevo mai preso un aereo – ricorda il mago umanitario Flip –. Ho capito che c’era un mondo fuori e che ero nato per portare un po’ di magia a chi soffre».

Da anni opera nelle zone di guerra, collaborando con le Ong, dall’Onu all’Unhcr, con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e organizzazioni locali, e quando lo raggiungiamo al telefono, si trova a Torino per un progetto di Magic Therapy Philosophy. È da pochi giorni rientrato da Gaza, dove per la prima volta c’è andato nell’aprile 2024; negli ultimi mesi ha prestato servizio nell’Emergency medical team, occupandosi del trasporto in ambulanza dei palestinesi feriti o gravemente ammalati che, dopo mesi di attesa, ottengono il via libera per lasciare il Paese e trovare rifugio e cure all’estero. «Il 7 ottobre ero in Ucraina – racconta –, quando una mia amica, che è un clown in Grecia, mi ha chiesto di andare a Gaza. Ho detto subito sì».

Mattia non rientra spesso in Friuli, ma le sue radici riaffiorano nell’utilizzo ironico di qualche parola in friulano e nel ricordo della nonna con cui è cresciuto, colei che gli ha raccontato la guerra vissuta quando era bambina. «Ai tempi della scuola ci portavano in gita sul Carso tra le trincee, ma vista da vicino la guerra è altro, è ciò che nelle aule scolastiche non spiegano, perché tra i libri non ti sporchi di sangue. A scuola e nei film è qualcosa di eroico se non addirittura romantico – afferma, raccontando cosa l’ha spinto a diventare un operatore umanitario –. Non raccontano le storie di chi non ha voce, di chi ne paga il prezzo più alto, invece la guerra è esattamente questo. A un certo punto della mia vita mi sono detto che dovevo andare per conoscere e vedere coi miei occhi».

«A Gaza la guerra è diversa – dice –. Avevo già visto la morte, ho perso amici che erano come fratelli e sorelle per me. Sono stato sotto le bombe, l’Isis ha provato a rapirmi, mi hanno sparato contro, sono quasi saltato in aria su una mina in Ucraina… Sono abituato a tutto ciò, però quando sono arrivato a Gaza mi sono reso conto che non si può scappare da lì, perché la città è circondata. La sera prima di entrare ci hanno detto: “Voi sapete quando state entrando, però non quando uscirete”».

A Gaza, gli operatori – al pari della popolazione stessa – rischiano quotidianamente la vita perché «siamo in mezzo ai civili, non ci sono rifugi, non c’è niente, e l’Idf (Forze di difesa israeliane) ammazza tutti, noi compresi – continua –. Non è perché noi siamo lì con le Nazioni Unite che non ci sparano contro, anzi. Sono abituato alla morte, è qualcosa che si mette in conto, però una violenza e un’escalation del genere non le avevo mai viste. A Gaza la morte è un’altra cosa».

Il racconto di Mattia è pacato e rifugge da ogni sensazionalismo voyeuristico, ma non fa sconti. «Sai – dice –, la guerra ha anche un odore, così come gli ospedali. Solitamente odorano di disinfettante e di guanti. A Gaza si sente l’odore dei bambini che bruciano. Non avevo mai visto così tanti bambini morirmi davanti. È una cosa che ti tormenta».
Morte e devastazione cambiano per sempre il modo di osservare la realtà. Glielo ha insegnato sempre sua nonna, che il ricordo della guerra se l’è portato dentro tutta la vita, comprendendo e sostenendo la scelta del nipote. «Quando ho iniziato a raccontarle e a mostrarle quello che facevo, mi ha detto una cosa che mi ispira ancora oggi – spiega Mago Flip –. Lei, che ai suoi tempi poteva conoscere ciò che succedeva nel mondo soltanto dal cinegiornale dell’Istituto Luce, mi ripeteva, appoggiandomi sempre: “Voi ragazzi con Internet potete scoprire quello che c’è nel mondo e quindi potete anche vedere cosa fare e dove andare”».

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Osservando alcune delle foto che Mattia ha realizzato negli ultimi mesi a Gaza il concetto di voglia di vivere trova espressione e significato nei volti e negli occhi dei gazawi che resistono, nonostante le bombe, i droni, la fame e la distruzione. La piccola folla radunata tra le macerie di una città che non esiste più sorride, sorpresa dalla magia semplice, ma allo stesso tempo ricca di meraviglia di Flip e di chi come lui in quella terra martoriata cerca di portare aiuto e un barlume di felicità. «In Ucraina – aggiunge –, un medico di un ospedale pediatrico mi ha detto di avvertire l’effetto della mia magia, attraverso lo stupore dei suoi piccoli pazienti e che tutto ciò dava senso anche al suo impegno per salvare le vite di questi bambini».

Flip, con il suo zaino e i suoi trucchi di magia, nelle prossime settimane ripartirà per la Cisgiordania e poi tornerà in Ucraina per seguire progetti legati all’infanzia. «Non hai idea delle volte che ci hanno quasi ucciso, ma mai una volta ho pensato di aver fatto la scelta sbagliata, perché questa vita mi ha permesso di vedere cose e conoscere persone che altrimenti non avrei mai incontrato. E la cosa più bella di questa vita sono le persone che incontri», confessa Mattia senza esitazione.

Marta Rizzi

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