
Commento al Vangelo del 12 ottobre 2025,
XXVIII Domenica del Tempo ordinario (Anno C)
Lc 17, 11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Parola del Signore.
A cura di padre Armando Coletto, Saveriano
Bel viaggio, quello di Gesù per andare a Gerusalemme! Non va a fare il turista o a cercare divertimenti in città. Lo ha già capito da tempo: Gerusalemme sarà per lui il luogo fatale. Ma non si tira indietro; anzi, “indurisce la faccia” (Lc 9,51), cioè ci va deciso. Passa dalla Galilea, la sua regione, alla Samaria. Sa che non corre buon sangue tra i due territori: i samaritani sono considerati e si considerano un gruppo a parte. Incontra un gruppo di lebbrosi. Curioso: è un gruppo “ecumenico”, formato di samaritani e ebrei. Nella loro situazione le distinzioni saltano, tutti diventano “figli della sofferenza”. Comunità di paria, marginale, un mondo a parte, come certi quartieri delle nostre grandi città. Marginalizzati dalla Legge di Mosè, dalle credenze, dal bisogno della società di difendersi, dal rifiuto del “diverso”.
Una comunità che cammina insieme, che porta in maniera condivisa le difficoltà della sussistenza. E ora, davanti a quest’uomo – di cui hanno tanto sentito parlare – decidono di avvicinarlo. Del resto, hanno tutti lo stesso sogno improbabile: guarire; lo stesso atteggiamento: una fiducia poco razionale, ultimo frutto della disperazione. Quell’uomo lì è probabilmente l’estremo ricorso della loro vita. Non hanno un’altra via di uscita. Sono condannati da Dio (Signore, chi ha peccato? Lui o i suoi parenti? Gv 9,2); sono puniti per un peccato che forse ignorano.
La situazione è certo paradossale: domandare a un uomo di Dio di liberarli dalla condanna di Dio. Mettono Dio contro Dio! Ma osano. La vita li ha spinti verso condizioni limite. Non hanno nulla da perdere. Osano. Come quei giovani africani che osano traversare i deserti e i mari. Vogliono a tutti i costi avvicinarsi alla salvezza, gridare, sperare. Gesù sembrerebbe apprezzare questa temerarietà. Non fugge, non li caccia via. La situazione dei poveri non è irreversibile, non sono condannati da Dio.
I lebbrosi gridano unanimi. E poi partono fiduciosi, senza troppo riflettere, per andare dai preti, come Gesù ordina loro. Non discutono come Naaman ai tempi di Eliseo (2 Re 5). Come il Profeta, anche Gesù non ha fatto niente; ha solo detto una parola, come quell’altra volta: gettate le reti e prenderete! Ma abbiamo lavorato tutta la notte senza prendere un solo pesce; comunque, sulla tua parola… E riempiono la barca (Lc 5,4-6).
E finalmente trovano quello che cercano con ansia da sempre: salute, salvezza. La loro vita cambia, diremmo dalla notte al giorno. Ha ancora senso vivere; sono reintegrati nella comunità; Dio ha smesso di maledirli. Sono ancora delle vere persone. Nulla è impossibile a Dio. Dalla pietra, lui fa uscire la vita!
Se fin qui il cammino è stato forse gregario, ora qualcuno va più in profondità, si stacca dal gruppo, fa un passo più personale. Guarda caso è proprio un samaritano. Del resto, non può neppure andare dai sacerdoti giudei perché lui appartiene à un’altra “chiesa”. Ha capito: è Gesù il vero intermediario di Dio. Torna indietro per ringraziarlo; e Gesù sente che quell’uomo è venuto per glorificare Dio, l’unico Dio di tutti. L’ex lebbroso può ora avvicinarsi senza paura a Gesù, ai suoi piedi, pieno di riconoscenza. La sua relazione diventa diretta, personale, concreta. Ha fatto un’esperienza nella sua carne, nel suo cuore.
E si attacca definitivamente a lui. Il cammino comunitario e personale è stato un itinerario di fede. Ormai il lebbroso guarito è con Gesù per “adorare Dio in spirito e verità” (Gv 4,24, né a Gerusalemme né a Garizim, ma là dove il Figlio dell’Uomo si trova, là dove l’Umano si esprime. Anche il cristiano è sempre – come Gesù – dalla parte dell’Umano, così come si presenta. Per farlo crescere, fiorire. È la sua missione nel mondo, passando da Gerusalemme, dalla croce.
padre Armando Coletto, Saveriano