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Vangelo e Costituzione

Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 22/2023

Mentre da cristiani con la Pentecoste abbiamo celebrato da pochi giorni il dono dello Spirito, compimento della giornata di Pasqua, da cittadini italiani ci prepariamo a celebrare l’anniversario della Repubblica. Le due feste, religiose e laiche insieme, nel loro diverso statuto indicano anche una modalità comune di essere popolo e di costruire una società umana. Non sono due feste sovrapponibili ma ciascuna nella sua natura concorre alla costruzione di quei valori che sessant’anni fa la profetica enciclica di san Giovanni XXIII, , indicava come essenziali per vivere il dono della Pace fra i popoli. Si tratta di valori costituzionali ed evangelici insieme. Non c’è pace senza , non c’è pace senza , non c’è pace senza , non c’è pace senza .

Come poter immaginare un futuro per i Popoli e per le Fedi religiose se non nell’articolazione di queste dimensioni dell’umano, senza la quale la violenza insinua il suo potere mortifero. Infatti non è l’assenza di conflitti che garantisce la Pace ma il superamento della violenza, di ogni forma di violenza, soprattutto se istituzionalizzata nelle politiche delle nazioni o nelle pratiche delle comunità civili e religiose. Nella sua laicità, la Costituzione italiana, sorta all’indomani di un conflitto mondiale e di una guerra civile, all’articolo 11 richiama un’esigenza evangelica: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». In questo articolo si ravvisano ancorché elementi che caratterizzeranno il recente sviluppo della dottrina sociale della Chiesa sulla Pace. Come l’arbitrato internazionale, lo sviluppo solidale fra i popoli, la destinazione universale dei beni e persino quell’esigenza di giustizia che san Giovanni Paolo II invocherà come necessaria per porre termine allo sterminio di popolazioni inermi ovvero l’«ingerenza umanitaria». Profetica, per la sua futura necessità, quella parte dell’art. 11 della Costituzione che riconosce come giustizia persino una fattispecie di «limitazioni di sovranità» di uno stato per difendere quella che noi cristiani chiamiamo la persona umana.

Ciò verso cui tutti gli «uomini di buona volontà» sono chiamati a tendere è al superamento non solo della guerra come tradizionalmente intesa e da più di cinquant’anni non riconosciuta come tale nei conflitti fra i popoli (tanto che sarà papa Francesco a riconoscere in tali conflitti il carattere di una vera e propria guerra, la terza guerra mondiale mai dichiarata e mai conclusa!), ma alle diverse, spesso subdole forme di violenza presenti nelle politiche e prassi sociali, economiche, militari. Non si tratta solo dell’ degli armamenti militari che si vorrebbe giustificata in nome della prevenzione o deterrenza. Ma soprattutto dell’egemonia sull’altro (popolo o governo che sia), per cui «fidarsi e bene, non fidarsi è meglio…». È la sfiducia nel prossimo l’origine di ogni male. Credere nell’uomo, nella sua capacità di , , e richiede una tale forza e fiducia che solo il dono dello Spirito santo, effuso «la sera dello stesso giorno, il primo dopo il sabato» è capace di dare. Noi cristiani che la celebriamo, abbiamo fiducia in una tale Pentecoste sugli uomini?

Don Franco Gismano,

professore di Dottrina sociale della Chiesa

Istituto superiore di Scienze religiose

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