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L'editoriale

L’editoriale della settimana

di Loris Della Pietra

Missus est

Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 49/2022

Già l’esordio della pagina dell’Annunciazione, che per nove sere accompagna la nostra tradizionale novena del Natale, per molti è un passaggio sonoro e simbolico a un tempo nuovo e “altro”. Il preannuncia il tempo delle feste natalizie e, soprattutto, ripropone ogni anno l’evento prodigioso dell’incarnazione, accaduto «quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4). Forza della ripetizione che certamente fa a pugni con la mentalità dominante in un mondo in continua accelerazione e rincorso da ogni sorta di ansia.

Soltanto un malinteso (e maldestro) senso della modernità ha preteso che in alcuni luoghi (non molti, per fortuna) il fosse sostituito dal vuoto più gelido o da espedienti che non riescono a reggere il confronto. Se l’origine del è piuttosto incerta, ad attestare un uso ben radicato rimane una cospicua raccolta di melodie di tradizione orale raccolte tra Friuli, Carnia e Cadore, alcune tuttora eseguite da solleciti cantori e dai fedeli, e altre registrate e trascritte, quali reliquie dopo un naufragio. A partire dal Settecento anche importanti compositori, tra i quali Tomadini, Candotti, Franz e poi Foraboschi, Perosa e Sivilotti, soltanto per citarne alcuni fra gli oltre cento, si impegnarono a musicare il . Melodie che hanno rivestito di incanto il mistero senza offenderlo e ne hanno consentito la partecipazione senza banalizzarlo.

Ma perché il ? Innanzitutto perché in un Avvento diventato sempre più l’anticamera frenetica del Natale si va disperdendo, anche nella Chiesa, la dimensione della vigilanza orante. Ritornare ogni sera con fedeltà tra gli impegni della giornata a contemplare il dono di Dio e farlo sulla scorta di un evento cantato, e dunque non discusso o tematizzato ma ricevuto ogni volta come nuovo, ci libera dalla falsa certezza che solo la gestione delle nostre strutture possa salvare la storia o riempire di senso il nostro cammino. Ad ogni nostro legittimo «Quomodo fiet istud?», il Signore continua a rispondere che lo Spirito ci avvolge con la sua ombra e il Santo è in mezzo a noi.

In secondo luogo, la celebrazione del ha il potere di rallentare il tempo perché per nove sere ripropone la stessa pagina e lo stesso canto. Se siamo sempre alla ricerca di novità, in continua “strategia dell’attenzione”, con il rischio di ridurre il mistero a nozione da capire o a comportamento da attuare, il è la medicina che fa al caso nostro. La ripetizione frena la corsa al concetto e suscita l’emozione e, mentre l’espressione si rinnova sempre uguale, qualcosa si imprime nel corpo e nel cuore. In questo modo, nello scorrere del tempo, il canto delle medesime parole si incide in coloro che le ascoltano, i quali diventano protagonisti con Maria delle “grandi cose” in cui è stata coinvolta.

Nella memoria ripetuta dell’Annunciazione, l’assemblea orante è sollecitata a tornare a quell’evento per rivivere l’atteggiamento di Maria di Nazareth. Tra le righe del testo e gli sviluppi melodici sembra di ravvisare il filo rosso dello stupore, che dapprima ha la forma dell’inquietudine per il saluto dell’angelo che le annuncia la presenza del Signore in lei, e poi assume lo stile dell’adesione fiduciosa al progetto di Dio per cui nulla è impossibile.

Papa Francesco nella lettera apostolica parla dello stupore in termini di accoglienza del dono di Dio in Cristo che supera ogni cattura soggettivistica e razionale.

Forse il serve anche a questo: a rispecchiarci nel dono, antico e sempre nuovo e per questo intonato in modo sempre identico, affinché il nostro oggi, tribolato e speranzoso, ritrovi il suo slancio. Un “canto libero” per uomini liberi.

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