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L'editoriale

L’editoriale della settimana

di don Alessio Geretti

Friuli in piazza S. Pietro

Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 47/2022

Il legno del presepe di Sutrio, che sta in piazza San Pietro questo Natale, non è soltanto motivo di gioia per carnici e friulani: è un segno, una memoria.

Nel legno intagliato da mani carniche ha preso forma, in questi giorni, la scena familiare e commovente della natività, collocata sotto l’antico obelisco egizio che l’imperatore Caligola volle trasferire a Roma e piantare al centro della spina del Circo completato poco dopo da Nerone. Sotto la mole di quell’obelisco fu piantato, quasi venti secoli fa, il legno di una croce preparata per il martirio dell’apostolo Pietro, che lì fu crocifisso e che poi venne sepolto a poca distanza. Fino a stendere le braccia sul legno di un patibolo Simon Pietro aveva seguito il suo Signore, quel Signore che aveva dormito l’ultimo suo sonno, la morte, sul legno della croce e che aveva dormito il primo suo sonno adagiato nel legno di una mangiatoia. Per noi cristiani, il legno risveglia la memoria di quanto siamo stati amati ed è un segnale che invita a procedere fedeli e forti, imparando a dare la vita.

Per noi friulani e carnici, poi, il legno è anche memoria e tradizione in senso artistico. Basterebbe citare figure come Domenico da Tolmezzo, Giovanni Martini, Antonio Tironi, per rievocare la stagione del nostro Rinascimento che fece risplendere altari dorati, quasi apparizioni del Paradiso dentro le nostre chiese, da Mortegliano a Remanzacco a Paluzza, Illegio, Zuglio, Invillino… Noi, cresciuti in compagnia di boschi montani o di gelsi lungo i campi e capaci di trasmetterci racconti e tenerezza , sentiamo che quando la fiamma dell’arte e della fede prende il legno, non lo consuma, come fosse il roveto ardente che riscalda l’anima. Le nostre chiese sono un per spiriti intirizziti da quest’epoca un po’ stordita.

Penso a come quel senso di calore e di mistero debbano sentirlo coloro che intagliano nel legno i personaggi del presepe, a Sutrio come in altre località o case friulane, rinnovando la liturgia di gesti a contatto con la materia dura e tenera al tempo stesso, da lavorarsi colpo dopo colpo, togliendo e levigando, impregnando ogni segno della sgorbia o del puntello con tutti i sentimenti e i pensieri racchiusi nel cuore. Un intagliatore si rammenta dei suoi vecchi, di come li vedeva fare, e dei suoi maestri, e di chi gli ha intagliato l’anima con insegnamenti di saggezza cristiana che davvero lasciano il segno e puntano a trasformare il legno più fresco dell’infanzia e quello più stagionato della vecchiaia in opere d’arte, in vite riuscite, degne di Dio. E se sbagli a togliere troppo? O se non hai il coraggio di incidere abbastanza? Poche operazioni manuali come questa sono una metafora dell’esistenza, dell’educazione e anche della vita credente. Il divino artista ci vorrebbe lavorare, per trarre dall’inerte blocco buono solo a incenerirsi una meraviglia che meriti di risplendere per sempre. Più facile con il legno che con noi. Ma il divino artista ha pazienza.

Il presepe di Sutrio in piazza San Pietro racconta tutto questo. Ed è molto più di una tradizione, magari ripetuta senza ormai comprenderla. È un esercizio di bellezza, di ingegno, di creatività e di fede al tempo stesso. Ma soprattutto rimane la scena della più grande sorpresa di Dio al mondo – molti aspettavano il Signore, un suo intervento, ma nessuno si immaginava che si sarebbe presentato così, in quella sconcertante collocazione –; ed è pure uno specchio onesto e completo dell’umanità, di allora e di oggi. Ci sono i poveri e i ricchi, i credenti e gli indifferenti, Israele e le genti lontane, le stelle del cielo e le bestie della terra. C’è il buio e c’è la luce. C’è l’uomo e c’è Dio. Ci sei anche tu.

Per questo il presepe ha tanta forza. In esso si manifesta la tenerezza di Dio per noi. Lui, immenso, si presenta piccolissimo per farsi conoscere senza intimidirci. Lui, nel quale sta il segreto della Vita, inizia in circostanze frugali la sua strada, pur essendo l’erede di tutte le cose, e si prepara a patire la morte per amore nostro. Ogni volta che piantiamo un presepe nelle piazze dei nostri paesi o nel cuore delle nostre case, stiamo permettendo a questo Signore di offrirci la sua amicizia nel mezzo delle nostre notti, del nostro mondo spesso materialmente pasciuto eppure spiritualmente denutrito, che brancola un po’ disperso con gli occhi abbagliati da luci artificiali e spesso, almeno nascostamente, piangenti. «Dove sei? Perché piangi? Che cerchi? Sono io, non temere, non temermi».

Torniamo a fare presepi e a stare silenziosi e commossi davanti al loro piccolo grande miracolo. Da quella scena si sprigiona ancora oggi quella stessa meraviglia provata da bambini per il Bambino che viene a salvare il mondo, e si infiltra, come luce calda sotto l’uscio di case barricate, il messaggio del Natale vero. Quanta struggente umanità, intensità e grazia spirituale stava in quell’incantata meraviglia, che ci prendeva alla gola davanti a una grotta fatta di carta su cui stavano posati pochi fiocchi di cotone, davanti a ingenue statuine di gesso, al tremolare dorato della fiamma d’una minuscola candelina, con l’odore dei mandarini e il battere sghembo di un po’ di nevischio sui vetri, quando la mamma era giovane e il papà il migliore artista del mondo che sapeva porre ogni cosa con gesto solenne. Ora tocca a noi, facendo il presepe e recandoci in pellegrinaggio a vedere i più belli che abbiamo in paese, rinnovarne il prodigio di quel segno che lascia il segno. E i molti che a Roma, a due passi dalle reliquie dell’apostolo Pietro, resteranno toccati dal legno intagliato a Sutrio e impregnato di Betlemme, possano vedere il Vangelo di sempre e la fede dei friulani di adesso.

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