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L'editoriale

Equicoinvolti nella pace

Nel movimentato clima che ha preceduto la recente partita di calcio tra Italia e Israele siamo stati contattati da numerose realtà del tessuto istituzionale del Friuli-Venezia Giulia (compreso l’arcivescovo Riccardo Lamba, che conosciamo). Non potevamo non essere disponibili. Non vogliamo minimamente entrare nelle polemiche politiche che hanno accompagnato la partita di calcio. Abbiamo riconosciuto un presupposto: se tutti hanno voglia di pace, al di là della partita in sé, prendiamo spunto dalla circostanza per metterci insieme e costruire un’iniziativa forte e bella di pace. La proposta ha trovato l’accordo di molti soggetti: è questo un piccolo, modesto contributo che possiamo dare.

È opportuno allora che ci presentiamo, dal momento in cui non tutti sanno cosa sia la Cittadella della Pace che porta il nome di Rondine. Il suo obiettivo, sin dalla nascita nel 1995, è contribuire a un pianeta privo di scontri armati. Qui, nel borgo sulle colline di Arezzo dove sorge la nostra sede, lavoriamo da 29 anni per rosicchiare terreno all’utopia di un’umanità senza guerra.

Siamo nati come organo di mediazione segreta nel contesto della prima guerra tra Russia e Cecenia. Eravamo piccolissimi: un gruppo di volontari che si mise a disposizione per creare un rapporto di fiducia tra le parti. Ottenemmo un primo “cessate il fuoco” di 72 ore, che purtroppo fu violato circa a metà della sua durata. Ma non fu un fallimento: da quell’esperienza nacque Rondine, che all’epoca accolse per primi dei giovani russi e ceceni che volevano uscire dalla logica della guerra e riconoscersi come umani. Da allora facciamo questo: in un francobollo di terra piccolissimo apriamo le porte a giovani dai 22 ai 28 anni che appartengono a parti che si chiamano reciprocamente nemiche, giovani che tuttavia rifiutano la logica della guerra e vengono qui per un percorso di due anni. Oggi sono israeliani e palestinesi, ucraini e russi, azeri e armeni, georgiani e abcasi, nigeriani e maliani, eccetera. Ci sono stati ragazzi ucraini che all’inizio non volevano parlare in russo, anche se lo conoscevano: le notizie della guerra arrivano anche qui da noi. Molti altri sono nati in un contesto di guerra, quindi portano in sé un’identità avvelenata dal concetto di “nemico”: li aiutiamo a riconoscere che anche l’altro vuole uscire da questa logica infernale. Al termine del biennio essi tornano nel loro paese per portare semi di giustizia, primizia di ciò che avviene quando le guerre finiscono.

Il percorso di Rondine è difficile: noi lanciamo tutti gli anni un bando internazionale, cui fa seguito la raccolta delle richieste (da tutto il mondo) e una selezione accurata. Alla Cittadella della pace abbiamo tre punti fondamentali: i giovani condividono la quotidianità, frequentano l’Università italiana (devono diventare leader preparati) e vivono un percorso formativo interno per trasformare i conflitti in modo creativo e rovesciare l’idea di nemico a favore di un’idea di collaborazione. In altri termini, lavoriamo per trasformare il dolore in voglia di pace e impegno civile e lo facciamo ogniqualvolta la storia vuole trasformare i popoli in nemici. Per fare questo abbiamo bisogno di spazi terzi in cui coinvolgerci insieme: le istituzioni, lo sport, l’Università, le Parrocchie… più c’è guerra, più abbiamo bisogno di questi spazi terzi, che non si schierano ma favoriscono il dibattito.

A volte si sente dire che a Rondine siamo “equidistanti”. Non è la nostra logica: essere equidistanti sul piano morale significa essere indifferenti, mentre sul piano politico si rischiano di equiparare storie che uguali non sono. Preferiamo definirci “equicoinvolti”: assumiamo la storia dei ragazzi e la facciamo nostra. Tendere la mano al nemico per molti significa essere traditori della patria: avviene qualcosa di lacerante in un palestinese che allunga la mano verso un israeliano o viceversa. Noi quindi come possiamo fare? La guerra è separazione e radicalizzazione, la negazione dell’altro: l’unica via per uscirne è ospitare il dolore dell’altro, assumendoselo. Rivolti e coinvolti con tutti, quindi equicoinvolti.

Con queste premesse sarà bello metterci su uno stesso cammino, sulla scia del recente evento sportivo, per addomesticare la logica del conflitto e piegarla a quella del dialogo. Per farlo c’è bisogno che tutti ci coinvolgiamo, ossia guardiamo verso la stessa direzione.

Franco Vaccari
Fondatore e presidente di Rondine – Cittadella della pace

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