Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
Politica

Mons. Genero sulla Brexit: “Il Friuli resta cerniera d’Europa, anche se c’è chi vorrebbe chiuderla”

Due pellegrinaggi giubilari: a Castelmonte e alla Madonna “Regina d’Europa” del monte Lussari. Tra sabato e domenica. Due momenti forti di preghiera affinché l’Europa torni ad essere l’Europa dei popoli, così come la concepiva la Chiesa Madre di Aquileia

Mons. Genero, lei, come la gran parte dei friulani, sarà andato a letto, ieri sera, senza rendersi conto che questa mattina la Brexit dell’Inghilterra avrebbe stravinto.

“Sì, i sondaggi erano di segno diverso”.

E si era tranquillizzato?

“Comunque no”.

Perché?

“Scampato il pericolo, l’Ue si sarebbe di nuovo seduta. Anzi, sarebbe sprofondata in quella che io considero la poltrona del tradimento dei valori fondativi. E’ da tempo, infatti, che nel vecchio continente si avverte un sintomo grave di una malattia ancora più grave e della quale non si vuole prendere atto”.

Intanto, c’è da crederci all’Europa? A questa Europa? C’è da crederci, in particolare, come friulani? Il Friuli Venezia Giulia, si sa, è sempre stato considerato la cerniera d’Europa…

“Una cerniera che purtroppo qualcuno vorrebbe richiudere”.

Invece?

“Invece nell’Europa c’è da crederci. Non in questa Europa. C’è da crederci nell’Europa dei fondatori. L’Europa dei grandi uomini, delle grandi idealità, dei valori come quelli della libertà, della democrazia, della solidarietà, della cooperazione”.

La presidente della Regione, Debora Serracchiani, ha scritto stamani che se non si cambia c’è il rischio di ritornare a Yalta.

“A Yalta forse no, ma una progressiva chiusura si registra a tutti i livelli, su tutti i piani. Ed è pericolosissima”.

Si parla, ad esempio, delle conseguenze economiche. O di quelle che possono patire i tanti studenti, anche friulani, che vivono a Londra.

“D’accordo. Ma prendiamo l’aspetto religioso. In questi anni l’ecumenismo non ha fatto grandi passi avanti. Anzi. Resiste il particolare. Il particolarismo. Quindi si sta ritornando indietro”.

A questa Europa sembrano mancare i fondamentali.

“Appunto. I fondatori hanno lanciato tutta una serie di idealità. Ed anche di progetti concreti. Che fine hanno fattp? Sono mancati gli uomini, i grandi uomini, per portarli avanti. Ma è mancata anche un’adeguata conoscenza. Se senza questa conoscenza è ovvio che attecchisce il virus della paura. Quella paura che riconduce ad una appartenenza stretta. Ma non ci si salva, nel contesto mondiale, rinchiudendosi nel particolare. L’identità va difesa, anzi promossa, ulteriormente valorizzata. Ma con la prospettiva dell’apertura agli altri”.

 Proviamo a tradurre.

“Per quanto riguarda le migrazioni, questa Europa, smentendo il solidarismo dei fondatori, non è stata capace di darsi nessuna politica di accoglienza o, per contro, di strategia per i paesi di provenienza di questi fratelli. Un’assenza che, per aspetti, è stata ancora più clamorosa nei confronti della Grecia, salvo i primissimi interventi di sostegno, ma tutti orientati ad evitare brutte conseguenze per gli altri paesi del Continente”.

Brexit, dunque…

“Brexit certifica la decomposizione dell’Europa, la sua frammentazione, la prospettiva che in queste condizioni perderà ogni incisività sul resto del mondo. Perché adesso i referendum si moltiplicheranno”.

 Il referendum è una prova di democrazia e di partecipazione. Non trova?

“Ma vanno spiegati puntualmente, non a slogan. Bisogna insomma conoscere approfonditamente la materia sulla quale si è chiamati a votare, a decidere. Altrimenti ci si abbandona al primo demagogo. Il referendum deve avere, non alle spalle, ma davanti, una precisa strategia. Quella del ritorno al nazionalismo è una strategia per i tempi moderni, per un mondo delle convivialità?”.

 Lei, dunque, si aspettava questo esito dalla prova referendaria in Gran Bretagna?

“Per aspetti lo temevo. Bastava considerare le quattro squadre inglesi presenti agli Europei di calcio per rendersene conto. E’ un arcipelago di isole che non riescono a trovare l’armonia necessaria”.

O non la vogliono trovare. Si pensi all’Irlanda del Nord.

“Ma anche sul piano calcistico si può parlare di una cultura comune?”.

Il Friuli ha storicamente puntato su un’Europa dei popoli e delle Regioni. E’ un sogno da cestinare?

“No, anche perché manca perfino – e per fortuna – lo stesso cestino”.  

Articoli correlati