«Grazie per questo momento di preghiera. Mi consente di dire “no alla guerra” in un modo che sento più mio». È la voce di una signora udinese appena giunta nella chiesa di Santa Maria in Castello nel pomeriggio di martedì 14 ottobre, un pomeriggio in cui Udine pare vivere in un’inusuale sospensione. «Sembra di essere tornati ai tempi del Covid», dice qualcuno, pochi minuti prima dell’inizio della veglia di preghiera per la pace che l’arcivescovo mons. Riccardo Lamba ha presieduto nella pieve udinese. «Pro Palestina o pro Israele?» è una domanda sferzante quella che l’Arcivescovo si è sentito porre non appena giunto, a sua volta, in cima al colle udinese. «Pro pace!» ha risposto, con il consueto sorriso. «Vado a prepararmi per la preghiera».
Circa centocinquanta le persone presenti a gremire la piccola chiesa, alcune in piedi anche sul sagrato esterno. Tra esse, il sindaco di Udine Alberto Felice De Toni, con indosso la fascia a rappresentare la città. Con lui gli assessori Gea Arcella, Stefano Gasparin, Andrea Zini e il consigliere Alessandro Vigna. Presenti anche membri dell’opposizione come Giovanni Govetto e Francesca Laudicina. Tra gli stretti banchi della pieve cittadina trovano posto anche il consigliere regionale Moreno Liruti e il garante udinese per i diritti delle persone private della libertà, Andrea Sandra. Una sinfonia, insomma, come ha ben riassunto l’Arcivescovo nei giorni precedenti alla veglia. E come ha rimarcato al termine della stessa, salutando i membri del consiglio e della giunta comunale udinese: «La preghiera fa bene a tutti e mette d’accordo chiunque vi partecipi».
In ginocchio dinanzi all’Eucaristia
Ma torniamo alla veglia, ritmata da canti e salmi in italiano e in friulano. Dinanzi alla statua della Vergine Maria dormiente, tutti guardano al Santissimo Sacramento esposto per l’adorazione eucaristica. Chi può, chi se la sente, sta in ginocchio. Nei lunghi momenti di silenzio, lo squarcio di rumore degli elicotteri che sorvolano una città in sospeso. Qualche pensiero al fragore delle eliche, ma gli occhi fissi là, su quel disco di pane consacrato, calamita del cuore e degli sguardi.
«Nessuno può chiamarsi fuori»
«Maria, nel canto del Magnificat, dà prova che i patimenti che sperimentiamo nella vita si possono superare. «Dio chiede a ciascuno di noi un cammino di vera conversione e ci dà la grazia per poterlo fare – ha affermato ancora mons. Lamba –. È un cammino caratterizzato dalla ricerca della verità, della giustizia, del rispetto della libertà e della dignità di ogni persona e di ogni popolo».
Ciò a cui allude l’Arcivescovo è «Un cammino di conversione intellettuale, morale, spirituale, che coinvolge uomini e donne di tutti i luoghi, di tutte le nazioni, di tutte le convinzioni politiche e religiose: nessuno ne è escluso!». Questo il cuore del suo messaggio: la pace è un diritto di tutti e tutti possono (anzi: devono) contribuire a realizzarla. Mons. Lamba cita Maria, San Paolo, San Giovanni XXIII: persone che, ognuno per la sua parte, hanno gettato ponti di pace e di speranza. «Nessuno può tirarsi fuori dicendo: “Io ho già fatto abbastanza e adesso aspetto che siano gli altri a fare qualche passo”. Tuttavia – ha riconosciuto –, è un compito che non riusciremo mai a portare a termine con le sole forze umane: sarebbe impossibile. È allora necessario l’aiuto dall’“alto”, cioè da Dio stesso. Oggi siamo qui, davanti al Signore risorto e vivente, per invocare questo aiuto».
G.L.
La versione integrale dell’articolo si potrà leggere nell’edizione de La Vita Cattolica del 15 ottobre 2025