Ci sarà anche mons. Vincenzo Paglia all’edizione 2025 del Fake News festival, la rassegna che dal 13 al 16 novembre porterà a Udine 19 incontri, ad accesso libero, su diverse tematiche che intrecciano informazione e disinformazione, approcci alla realtà e pensiero critico. L’arcivescovo e presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, nonché consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio, sarà a Udine giovedì 13 novembre, alle 18, nella Torre di Santa Maria. L’incontro avrà per titolo «Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’invecchiamento» e vedrà l’arcivescovo sedere accanto al gerontologo Francesco Florenzano e al giornalista Andrea Scazzola.
Mons. Vincenzo Paglia, partiamo dal titolo del suo intervento a Udine. Cosa non ci hanno mai detto sull’invecchiamento?
«Lasciate che parli come membro di questa categoria: ho 80 anni e devo confessare che su questa età c’è stata pochissima riflessione politica, economica, culturale, persino spirituale e sanitaria.»
Cosa intende?
«Ci siamo accorti che esiste un popolo di anziani con il Covid, che ha falcidiato migliaia di nonni. Questo è accaduto perché, in realtà, gli anziani li avevamo già scartati. Abbiamo tanti anziani soli oppure negli istituti e il virus li ha falcidiati. C’è bisogno di capire che la vecchiaia non è uno scarto, ma un’enorme risorsa per tutti, per gli anziani stessi e anche per i paesi.»
Udine capitale del pensiero critico: torna il Fake news festival
In una società che esalta produttività e giovinezza, come può essere una risorsa la vecchiaia?
«Anzitutto va salutato con favore il fatto che viviamo 20, 30 anni in più: è una grande conquista ed è importante saperlo, riconoscerlo e custodire questo progresso. In questo senso 30 anni sono una risorsa perché le altre generazioni possano accogliere le ricchezze di milioni di persone che hanno una conoscenza enorme della vita. Quindi se è vero che bisogna onorare i propri anziani, è anche decisivo che gli anziani aiutino le altre generazioni a crescere in sapienza, saggezza e solidarietà. La vecchiaia è una stagione che ci fa comprendere quanto sia prezioso il legame tra tutte le generazioni.»
Accennava a questo “patto tra le generazioni”… In che modo giovani e anziani possono trovare un’alleanza, soprattutto in un contesto dominato da rapporti digitali?
«Rispondo con una constatazione: la commissione del Ministero della Salute per la riorganizzazione dell’assistenza agli anziani ha stimato quanto vale economicamente il tempo che i nonni passano con i nipoti. Vale quanto una finanziaria! Una cifra enorme. In questo contesto il rapporto anziani-giovani non sempre genera affettività e passione, perché la tecnologia rischia di renderci tutti più connessi, ma non certamente forse più appassionati e più partecipi. Rischia di essere una relazione anaffettiva.»
A proposito di digitale, quali strumenti hanno gli anziani di oggi per restare parte attiva della società, e quali invece i rischi di esclusione o isolamento che intravede?
«Io credo che il pericolo più grave per tutti, ma in particolare per i più piccoli e per i più anziani, sia proprio la solitudine, l’assenza di relazioni. Avremo milioni di anziani soli: ecco perché è indispensabile circondarli di affetto, di visite, di relazioni. In questa prospettiva, gli anziani stessi devono cominciare ad accogliersi per esempio vivendo in piccolissimi gruppi (il co-housing): 3, 4, 5 anziani che vivono insieme, come delle nuove famiglie, perché così non sono più soli, si risparmia denaro, ci si aiuta a vicenda, se qualcuno viene a mancare gli altri non restano soli… Questa prospettiva di nuove famiglie e di anziani è una frontiera da coltivare sotto tutti i punti di vista: culturale, spirituale, anche architettonico.»
A proposito di prospettive, alla luce della fede la vecchiaia può essere intesa come una chiamata, una vocazione?
«La vecchiaia deve avere una sua vocazione, noi anziani dobbiamo chiederci cosa vuole il Signore da noi in questi 20, 30 anni o 10 anni in più, in cui non abbiamo lavoro né uffici. C’è una missione degli anziani che è quella della preghiera, che è decisiva, importante, e il Signore l’ascolta. C’è poi un secondo ambito, quello del volontariato: quanti anziani possano aiutare altri più fragili, anche più giovani? Se dovessero andare via i volontari anziani, molte associazioni, anche benefiche, chiuderebbero il giorno dopo. Una terza riflessione è quella della fragilità: è vero che può capitare che noi anziani siamo più fragili e a volte dobbiamo rimanere allettati, ma c’è un magistero della fragilità che viene predicato non con le parole, ma con il proprio corpo infragilito. Questo corpo fragile dice alle generazioni che sono tutte fragili: i bambini, tanti adolescenti che hanno malattie gravissime, tanti giovani che non sanno più cosa fare della propria vita, gli adulti che spesso ricorrono a farmaci per sostenersi un pochino. La vecchiaia è una terra che può produrre molti frutti; ha bisogno di essere vangata, innaffiata, concimata, perché noi vecchi possiamo davvero portare anche una nuova primavera.»
G.L.













