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Commento al Vangelo

«Se il chicco di grano muore, produce frutto»

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 12,20-33)

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà.
Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Parola del Signore.

 

Commento al Vangelo del 17 marzo, V Domenica di Quaresima

A cura di don Francesco Ferigutti

don Francesco Ferigutti

Sul compiersi dell’itinerario quaresimale, al culmine della riflessione sulla storia della salvezza, ci viene incontro la profezia di Geremia che annuncia un’alleanza nuova: «Ecco verranno i giorni nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova» (cfr. Ger 31,31-34). La caratteristica della “nuova alleanza” è l’interiorità, Dio stesso produrrà la conversione e la sua legge non sarà più posta davanti agli occhi, ma scolpita nell’intimo del cuore. La profezia dell’Antico Testamento trova il suo pieno compimento e significato nell’ultimo discorso pubblico di Gesù (cfr. Gv 12,20-33), che annuncia il raduno universale di tutti gli uomini attraverso l’assunzione della croce fino al dono totale di sé.

L’evangelista Giovanni racconta che quel giorno Gesù era a Gerusalemme e gli si presentarono degli stranieri, greci, simpatizzanti della religione ebraica. Erano curiosi tanto che si avvicinarono a Filippo e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». E lo vedranno così com’è, nella sua realtà d’uomo, non ancora il Gesù della gloria, ma il Gesù del turbamento e della tentazione. Gesù accoglie questi greci con un certo entusiasmo, ma questo incontro diventa per lui occasione per annunciare l’ora della glorificazione: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato». Questa glorificazione passerà necessariamente attraverso la morte: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto». Gesù parla di sé, non sappiamo da quali altezze quel chicco di grano sia caduto, sappiamo però che per portare frutto ha accettato di morire. Emerge un Gesù ruvido, senza dolcezza e tenerezza, che parla senza mezzi termini di una realtà spiacevole, su cui la nostra società preferisce sorvolare: la morte. Guillaume Pouget (1847-1933) testimone del rinnovamento teologico all’inizio del XX secolo disse: «Non lo si inventa il Cristo, perché è troppo scomodo». Se Cristo lo avessimo inventato noi uomini non avremmo certo legato la sua immagine alla croce e alla morte.

«Vogliamo vedere Gesù» chiedono quei greci. Certamente, ma l’unico Gesù che vedranno è un Gesù in cammino verso la sua passione e morte, un Gesù umanissimo che ha paura, come ne avremmo noi al suo posto, un Gesù al quale non venne risparmiata nessuna prova. Ma Gesù è venuto nel mondo per quest’ora, per questa morte, per salvarci dalla tentazione e dalla morte invitandoci a seguirlo: «Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore». Come per Gesù, al vero servo non sarà risparmiato alcun turbamento, alcuna tentazione, ma come Gesù, il cristiano è chiamato ad orientare l’intera esistenza verso un Dio che non abbandona. Vogliamo anche noi vedere Gesù? Vedere Gesù, conoscerlo in profondità, significa mettersi sullo stesso cammino, che è quello di donare se stessi.
don Francesco Ferigutti

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