A fine mese ricorre il 6° anniversario della tempesta Vaia che in Friuli ha colpito 3.340 ettari (contro i 12.227 del Veneto, i 18.389 del Trentino, i 4.140 dell’Alto Adige, i 4.604 della Lombardia). Come si è rinnovato il bosco in questi anni? L’Università di Udine con quella di Padova ed altri istituti hanno elaborato un Rapporto scientifico per il Ministero dell’Agricoltura, relativo ai primi tre anni, ma appena pubblicato, comunque indicativo della possibile evoluzione dei nostri boschi.
Anzitutto va detto che, a sorpresa, la biodiversità di piante e artropodi (invertebrati quali insetti, zecche, ragni, acari…) aumenta in tutti i siti colpiti dalla tempesta e successivamente disturbati dai macchinari di esbosco rispetto alla biodiversità tipicamente forestale che si trova nei siti non disturbati.
Chi si adatta e chi no
«A tre anni dalla tempesta, quindi, gli organismi impollinatori non sembrano essersi adattati alle nuove condizioni locali create dagli schianti, ma sembrano utilizzare questi ambienti in maniera opportunistica – leggiamo nella relazione degli esperti –. Al contrario, la biodiversità degli artropodi predatori, come i ragni, risulta essere influenzata anche dai fattori locali come la diversità di piante: sembrano adattarsi molto più velocemente alle nuove condizioni ambientali create dalla tempesta rispetto ad organismi volatori».
La tempesta Vaia è stato il disturbo da vento più importante avvenuto recentemente in Italia. Si è stimato che gli schianti abbiano interessato una superficie di oltre 42 mila ettari e abbattuto 16 milioni di metri cubi di legname.
Monitorati 148 siti
Le Università di Udine e di Padova e gli altri istituti scientifici hanno monitorato, per studiare la rinnovazione del bosco, 148 siti di cui 20 in regione, rilevando in totale 3.143 individui di rinnovazione, con una densità media di 16.473 individui ogni ettaro. Ed ecco un primo riscontro: il 12,4% delle piccole piante ha evidenziato danni da brucamento. La quantità di legno morto campionata in ogni area di saggio si aggira mediamente attorno ai 48 metri cubi ad ettaro.
Gli studiosi hanno riscontrato che aumentando la distanza dalle piante porta-seme si riduce la possibilità di trovare quantità di seme adeguate a sostenere la rinnovazione, specialmente in presenza di abete rosso, abete bianco o faggio.
Come cambia il bosco
Nel post Vaia è stata rilevata una netta prevalenza di rinnovazione per le specie cosiddette “pioniere”: sorbo degli uccellatori, larice, betulla. Analizzando la rinnovazione del bosco in base all’altitudine, si trova che l’abete rosso ed il sorbo degli uccellatori hanno una distribuzione uniforme. Il larice mostra una discreta densità a quote basse ed a quote alte, con un picco negativo a quote intermedie, attorno ai 1.300 metri. L’abete bianco presenta un picco alle quote intermedie (1200-1500 metri) sensibilmente più alto rispetto agli estremi. Infine, il faggio mostra un decremento importante all’aumentare della quota fino a circa i 1300 metri, seguito da una ripresa nel numero di individui fino circa 1600 metri.
Potenziare la filiera del legno
Perché ci siamo occupati del problema? Perché ogni anno in Friuli-Venezia Giulia vengono tagliati oltre 200 mila metri cubi di legname. E perché solo una parte di questo legname resta in regione. Viene infatti esportata, ad esempio nella vicina Austria, per essere lavorata all’estero e nuovamente importata. «Si determina così una forte perdita di valore aggiunto che potrebbe restare sul territorio se ci fossero le risorse umane per valorizzarlo, a partire dall’edilizia, e aziende della filiera legno potenziate, in particolare nell’Alto Friuli», come ha dichiarato recentemente il capogruppo del Gruppo Legno arredo di Confindustria Udine, Alessandro Fantoni.
Francesco Dal Mas