Quattro furono i miracoli del 2 giugno 1946: 1. il voto di un intero popolo; 2. la detronizzazione del Re; 3. il voto delle donne; 4. l’esilio volontario del detronizzato.
I primi due furono così commentati da Piero Calamandrei: “Mai nella storia è avvenuto, né mai ancora avverrà che una repubblica sia stata proclamata per libera scelta di popolo mentre era ancora sul trono il Re”.
Noi possiamo aggiungere che, paradossalmente, il Re fu detronizzato per un decreto da lui stesso firmato dopo il 5 giugno 1944, quando era il Luogotenente generale del Regno d’Italia.
Per spiegare la “luogotenenza”, è indispensabile ricordare che non era stato facile scalzare dal trono Vittorio Emanuele III di Savoia, che aveva aperto le porte al fascismo, approvato le guerre coloniali, avallato le leggi razziali e autorizzato la disastrosa guerra a fianco della Germania: soltanto per le pressioni degli Alleati e dei partiti politici italiani il vecchio Re aveva nominato Luogotenente suo figlio Umberto, e si decise infine ad abdicare il 9 maggio 1946: quel giorno il Luogotenente divenne Umberto II°, “il Re di maggio”.
Il referendum del 2 giugno fu indetto in esecuzione del Decreto Luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, che così recitava nel primo articolo: “L’esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il Paese in un momento decisivo della vita nazionale”.
Alla luce dei risultati, si può ben dire che quel voto fu sentito come un dovere da nove cittadini su dieci: si recarono infatti ai seggi ottantanove su cento degli aventi diritto al voto, e in cifre tonde la Repubblica ottenne 12.718.000 suffragi (54,27%), la Monarchia 10.718.000 (45,73%).
Non è meraviglioso il fatto che dalle Alpi a Lampedusa, fatta eccezione per qualche assente e per i malati, un intero popolo, massacrato da cinque anni di guerra e disabituato all’esercizio dell’elettorato attivo, sia accorso ai seggi nonostante le gravi difficoltà anche alimentari di quel tempo?
Non è miracoloso il fatto che a quell’afflusso da record abbiano molto contribuito le donne, chiamate per la prima volta alle urne per una decisione che avrebbe separato un prima da un dopo?
Il quarto miracolo accadde il 13 giugno, quando Umberto II, rinunciando a ogni tentazione di ribaltare con la forza il voto popolare – ogni sua mossa per riconquistare il trono perduto avrebbe acceso la miccia della guerra civile – partì in aereo per l’esilio in Portogallo.
Non si dimentichi, però, che il 2 giugno 1946 gli italiani elessero anche i deputati che avrebbero scritto la Costituzione, ovvero la legge fondamentale dello Stato, anche al presente garanzia di libertà e democrazia per tutti in un mondo pericolosamente esposto allo scivolamento sul piano inclinato del cosiddetto “sovranismo”.
Oggi, dopo ottant’anni, stiamo osservando la progressiva rinuncia al diritto di voto da parte di una metà del corpo elettorale: un italiano su due sembra poco interessato ai valori della nostra Costituzione, che si difendono anche partecipando alle competizioni elettorali e, ovviamente, rispettando tutte le leggi, comprese quelle fiscali.
Vorrei concludere con un “amarcord”. Ho un ricordo visivo di quel 2 giugno: mi rivedo bambino di otto anni in un bel pomeriggio di sole, che a piedi accompagna la madre e due maestre elementari, in una lunga passeggiata da Fraforeano a Ronchis per raggiungere uno dei due seggi allestiti nel capoluogo del Comune, e ricordo la conversazione fra le tre donne sulle modalità e sul significato di quel doppio voto. Poi rivedo mio padre, Presidente di uno dei due seggi.
Naturalmente nulla capivo di quel che vedevo e ascoltavo, perché i bambini, se non sono difesi dalla Costituzione, possono essere soltanto vittime della politica, come oggi a Gaza.