Il primo crocifisso è stato completato dopo due anni di prove. Nei ritagli del tempo libero. E con gli scarti di lavorazione del ferro. Caratteristica che contraddistingue tutte le opere dello scultore per passione Amadio Lepore, in arte “Barbin”, classe 1958, gemonese doc. «L’idea iniziale – spiega – è nata casualmente, dopo aver osservato a terra tue tondini che riproducevano un viso». Da quel momento non si è più fermato. Unendo fantasia, desiderio di dare nuova vita a pezzi di ferro accantonati e quella maestria “nell’addomesticare” il non facile metallo affinata in 36 anni – «di turni, entrato appena 17enne come apprendista», ama ricordare – di lavoro alla Ferriere Nord di Osoppo. «Sono stato molto fortunato nella vita, perché ho amato il mio lavoro in maniera profonda», ammette. Prima di entrare nel Gruppo Pittini, racconta, «le basi le ho acquisite a bottega, dal fabbro Giancarlo Stievano». Era il 1975 e lì, a prendere dimestichezza con i metalli e in particolare con il ferro, il giovanissimo Amadio è rimasto fino al terremoto del 1976. Poi, una breve esperienza lo ha portato nell’azienda di Tarcisio Sguassero (nel periodo in cui si occupava di interventi antisismici, realizzando strutture in ferro, proprio alla Pittini).
Quindi, l’inizio della lunga storia come dipendente alla Pittini, vissuta giorno dopo giorno sempre con grande impegno e professionalità tanto che, al momento della pensione, il “grazie” per i tanti anni trascorsi alle Ferriere è arrivato personalmente dal titolare, il compianto Andrea, di cui Amadio conserva ancora uno scritto carico di gratitudine e ammirazione.
Quindi, da pensionato, lo scultore ha potuto dedicare molto più tempo a quello che oggi considera qualcosa di più che un hobby. Anche perché, rimanere «lontano dal ferro» per lui era ormai impossibile. «Sono sempre stato attratto da questo materiale con cui puoi realizzare di tutto, senza limiti. Per me è diventata una necessità creare…».
Tra le sue mani – nell’officina ricavata al primo piano della sua abitazione, dove rigorosamente ogni minimo pezzo ha una collocazione precisa e nulla si butta via – ciascun ritaglio siderurgico che a prima vista pare del tutto insignificante come per magia prende vita. Pezzi più o meno grandi di ferro e sfere metalliche di ogni dimensione diventano via via crocifissi, oggettistica di arredamento e soprattutto Natività, anche grazie ad altro materiale sempre rigorosamente recuperato, come i ceppi “regalati” dal fiume Tagliamento che spesso fanno da scenografia alle Sacre famiglie “firmate” da “Barbin”.
«Appena ho tra le mani uno scarto, ho già in mente che cosa diventerà», spiega. E in quelle opere dalle curve essenziali e armoniose – «se lo sai trattare, il ferro si fa sempre “addomesticare”», sottolinea – non c’è solo la raffinata manualità che si accompagna alla fantasia dello scultore, ma pure tutto il suo mondo. A partire dal nome d’arte scelto. “Barbin” era il soprannome del padre, Fabio, classe 1926, conosciutissimo in paese, una vita dedicata alla campagna e all’allevamento degli animali. «Con il suo esempio, per me è stato e lo è tutt’oggi una guida. Il principio che lo guidava nella quotidianità era semplice, incentrato sul valore profondo degli affetti – racconta –; con la sua ironia riusciva sempre a sdrammatizzare anche le situazioni più complicate. Amava ripetere: “se il problema non ha soluzione, allora problema non è; se ha la soluzione, è solo questione di tempo per riuscire a superarlo”».
Su quelle orme Amadio – che ha realizzato con le sue mani la tomba in cimitero, caratterizzata da un Cristo in ferro che piaceva tanto al padre – ha sempre camminato. E le sue opere non possono che essere interpretazioni dei suoi valori: in primis la famiglia – «con i Presepi che realizzo, arrivo sempre lì, al centro del mio mondo» –, con la moglie Anna («Che mi ha sempre assecondato», afferma con gratitudine), le tre figlie, Silvia, Michela e Claudia, a cui nel tempo si sono aggiunti i generi e gli amati cinque nipoti. E poi il lavoro che, grazie a un’operatività instancabile ha sempre come obiettivo finale far star bene affetti più cari e amici. «Sono grato alla vita, perché ho avuto tutto ciò che desideravo», afferma con emozione Amadio.

Intanto, sta già immaginando le sue prossime sculture. Dal 1986 partecipa a mostre collettive non solo in Friuli, ma anche fuori dai confini regionali, come a Torino, Città di Castello, Genova. Entrato a far parte dei presepisti friulani, dal 2012 le sue opere vengono esposte in occasione del Giro Presepi Fvg. Una presenza costante fin dal 2011 è a Moggio Udinese (risale al 2024 una sua mostra personale ospitata in Abbazia) e nel tempo sue Natività sono state accolte pure nelle rassegne di Sutrio, San Daniele, Grado e Monfalcone. E poi a Majano, in occasione del Festival estivo, dove “Barbin” ha vinto pure un premio. Uno dei suoi Crocifissi è affisso nella sede centrale della Pittini a Osoppo, un altro era stato oggetto di un dono al compianto arcivescovo di Udine, mons. Alfredo Battisti, per la Festa del Ringraziamento. E con grande soddisfazione – racconta, mentre rigira tra le mani un pezzo di ferro pronto a diventare una nuova scultura –, un Cristo è da anni ospitato in una chiesa di Mendoza, in Argentina, come ringraziamento da parte di alcuni dipendenti della Danieli di Buttrio, presenti oltreoceano per lavoro, per un progetto andato a buon fine.
Perché questa è la particolarità di “Barbin”: riuscire a dar vita a pezzi di materiale scartato, raccontando così la normalità della vita o piccole storie speciali.
Monika Pascolo