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Crisi economica e nuovi stili di vita peggiorano la dieta. Anche dei friulani

Dopo le abbuffate delle feste, il tema del cibo resta protagonista come paradigma della nostra società, della sua economia, ma anche dei valori che la sostengono. A fare del cibo e dell’alimentazione il centro di un’analisi che è economica, politica e anche sociologica, è il saggio “La spesa nel carrello degli altri – L’Italia e l’impoverimento alimentare” (Baldini+Castoldi). A scriverlo a quattro mani sono stati due punti di riferimento nel campo dell’economia sostenibile: Ilaria Pertot, friulana, docente di Patologia vegetale all’Università di Trento che nella sua carriera si è occupata di ricerca e sviluppo di alternative ai pesticidi, di metodi di produzione sostenibili e dell’effetto del cambiamento climatico, e Andrea Segrè, docente di Politica agraria internazionale all’Università di Bologna, direttore scientifico dell’osservatorio Waste Watcher International, fondatore di Last minute market impresa sociale e ideatore della campagna Spreco Zero.

Sarà vero che i poveri mangiano meglio dei ricchi?

«L’idea di questo saggio nasce come reazione a una frase, pronunciata poco più di un anno fa, nell’agosto 2023, quando è stato detto che i poveri mangiano meglio dei ricchi – ha spiegato Segrè intervistato da Radio Spazio e Vita Cattolica –. Devo dire che in tanti anni di lavoro sulla povertà alimentare e sul recupero a fini caritativi delle eccedenze alimentari, è stato un commento che fin da subito non mi suonava bene, perché, frequentando molto la destinazione di questi recuperi, cioè le mense sociali, solidali o caritative, era difficile vedere effettivamente dei pasti così equilibrati o di alta qualità. In realtà, questo è stato uno stimolo, perché sapevamo già che i poveri non mangiano meglio dei ricchi, ma poi ci siamo chiesti anche: ma come mangiano effettivamente quelli che hanno accesso al cibo, che possono acquistarlo? A questo punto ci siamo confrontati e abbiamo scoperto che nel nostro Paese non si mangia così bene come si crede e siamo arrivati addirittura a definire una nuova categoria, l’impoverimento alimentare, cioè una condizione di squilibrio alimentare sofferta da una platea di persone molto ampia e in forte crescita in Italia, perché non riguarda solo coloro che non hanno accesso al cibo, ma un impoverimento generale della dieta anche a livello qualitativo».

La dieta mediterranea? Non esiste più

Per fare un esempio, «la tanto sbandierata “dieta mediterranea” non è praticamente più adottata secondo i suoi principi nutrizionali – prosegue Segrè –. Chi ha basso reddito va alla ricerca del cibo a basso prezzo. Però in realtà un cibo molto economico deve sempre farci riflettere, perché o è un cibo non di qualità sufficiente o qualcuno ha pagato quella differenza di prezzo: potrebbe essere l’agricoltore che non viene retribuito in modo sufficiente, il raccoglitore che non ha un contratto dignitoso, potrebbe essere che quello stesso importo è stato trasferito su un altro prodotto all’interno dello stesso supermercato, funzionando da civetta».

Nuovi stili di vita: pasti solitari e frettolosi

«Il contesto – sottolinea Pertot – è molto ampio. Ci sono diverse motivazioni che portano a un impoverimento della nostra dieta sotto tutti i punti di vista. Ovviamente la povertà che incide di più è quella economica. In Italia le famiglie in povertà estrema sono aumentate all’8,5% negli ultimi dati dello scorso anno, corrispondono a circa 6 milioni di persone. Inoltre esistono delle forme di povertà che sono anche legate all’impoverimento culturale e all’ambiente sociale. Quello che abbiamo osservato nella nostra indagine è soprattutto una solitudine sempre maggiore delle persone di fronte anche al consumo del cibo. Mangiare, soprattutto nel nostro Paese, significa anche convivialità, mentre i nuovi stili di vita portano a consumare pasti solitari, in fretta, guardando lo smartphone. Inoltre anche chi è povero è solo, perché la povertà fa paura, allontana e la società stessa tende a isolare ciò che non vuole vedere. Nel saggio abbiamo voluto considerare anche l’impatto delle scelte alimentari sulla salute del singolo e della collettività, con conseguenze forti sulla spesa sanitaria generale».
Valentina Viviani

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