Dopo le abbuffate delle feste, il tema del cibo resta protagonista come paradigma della nostra società, della sua economia, ma anche dei valori che la sostengono. A fare del cibo e dell’alimentazione il centro di un’analisi che è economica, politica e anche sociologica, è il saggio “La spesa nel carrello degli altri – L’Italia e l’impoverimento alimentare” (Baldini+Castoldi). A scriverlo a quattro mani sono stati due punti di riferimento nel campo dell’economia sostenibile: Ilaria Pertot, friulana, docente di Patologia vegetale all’Università di Trento che nella sua carriera si è occupata di ricerca e sviluppo di alternative ai pesticidi, di metodi di produzione sostenibili e dell’effetto del cambiamento climatico, e Andrea Segrè, docente di Politica agraria internazionale all’Università di Bologna, direttore scientifico dell’osservatorio Waste Watcher International, fondatore di Last minute market impresa sociale e ideatore della campagna Spreco Zero.
Sarà vero che i poveri mangiano meglio dei ricchi?
La dieta mediterranea? Non esiste più
Per fare un esempio, «la tanto sbandierata “dieta mediterranea” non è praticamente più adottata secondo i suoi principi nutrizionali – prosegue Segrè –. Chi ha basso reddito va alla ricerca del cibo a basso prezzo. Però in realtà un cibo molto economico deve sempre farci riflettere, perché o è un cibo non di qualità sufficiente o qualcuno ha pagato quella differenza di prezzo: potrebbe essere l’agricoltore che non viene retribuito in modo sufficiente, il raccoglitore che non ha un contratto dignitoso, potrebbe essere che quello stesso importo è stato trasferito su un altro prodotto all’interno dello stesso supermercato, funzionando da civetta».
Nuovi stili di vita: pasti solitari e frettolosi
«Il contesto – sottolinea Pertot – è molto ampio. Ci sono diverse motivazioni che portano a un impoverimento della nostra dieta sotto tutti i punti di vista. Ovviamente la povertà che incide di più è quella economica. In Italia le famiglie in povertà estrema sono aumentate all’8,5% negli ultimi dati dello scorso anno, corrispondono a circa 6 milioni di persone. Inoltre esistono delle forme di povertà che sono anche legate all’impoverimento culturale e all’ambiente sociale. Quello che abbiamo osservato nella nostra indagine è soprattutto una solitudine sempre maggiore delle persone di fronte anche al consumo del cibo. Mangiare, soprattutto nel nostro Paese, significa anche convivialità, mentre i nuovi stili di vita portano a consumare pasti solitari, in fretta, guardando lo smartphone. Inoltre anche chi è povero è solo, perché la povertà fa paura, allontana e la società stessa tende a isolare ciò che non vuole vedere. Nel saggio abbiamo voluto considerare anche l’impatto delle scelte alimentari sulla salute del singolo e della collettività, con conseguenze forti sulla spesa sanitaria generale».
Valentina Viviani