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Opinioni

Dal Regno Unito primo stop alla deriva gender

Nel pomeriggio del 12 marzo, le agenzie di stampa hanno battuto una notizia sensazionale per i medici, gli psicologi, gli educatori ed i genitori. Gli addetti ai lavori ne hanno colta l’importanza. I genitori e qualche educatore forse no. Per questo vale la pena riprenderla. Il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) del Regno Unito ha bloccato la prescrizione da parte delle “cliniche per l’identità di genere” di bloccanti della pubertà a bambini e adolescenti diagnosticati come affetti dalla disforia di genere.

È significativo che il Governo britannico abbia salutato la “decisione storica” delle autorità sanitarie, affermando che essa aiuterà ad assicurare che la cura sia basata sulle evidenze scientifiche e nel miglior interesse del bambino.

Nelle parole del portavoce governativo, è evidente una non celata critica alla superficialità con cui le scelte precedenti sono state fatte, frutto non di scienza vera, ma della ideologia gender e degli affari di alcuni medici coinvolti nelle procedure per il cambiamento dell’aspetto sessuale (il sesso biologico per fortuna non si può cambiare). È di pochi giorni fa lo scandalo Wpath, emerso a seguito di una inchiesta giornalistica, che ha confermato, se ce ne fosse stato bisogno, la totale mancanza di evidenze scientifiche e lo scarso rispetto delle limitate capacità di un consenso informato da parte di giovani pazienti, talora affetti da malattie psichiche.

Simili abusi erano stati drammaticamente denunciati da Yarden Silveira, un paziente sottopostosi alla transizione sessuale e deceduto a soli 23 anni per le complicanze, non prima di diffondere un pesante j’accuse contro il mercato californiano e newyorkese del cambiamento di genere.

D’ora in avanti, dunque, nel Regno Unito le bambine e i bambini con disforia di genere saranno supportati da pediatri, neuropsichiatri infantili ed esperti in neurodiversità, con un approccio olistico alla cura.

Per le teorie del gender, la materialità del sesso non esiste, l’identità sessuale è frutto solo della scelta personale, che può contraddire il sesso biologico e che può eventualmente mutare nel tempo, a seconda del contesto e del “benessere” psicofisico della persona.

I bambini sono invitati ad esplorare i propri orientamenti e, nel caso di dubbi sulla propria identità, dovrebbero essere aiutati (terapia affermativa) ad uscire dalla gabbia corporea che impedisce loro di essere ciò che vorrebbero. Eppure non vi sono studi dimostranti che la terapia affermativa funzioni e che promuova il benessere dei bambini e bambine che sono a disagio con la propria identità biologica. Ciononostante, il gender ha conquistato anche l’organizzazione Mondiale della Sanità che si è preoccupata di produrre corpose schede per l’educazione sessuale in Europa, mirando a una riforma della scuola che inizia alla materna e termina all’università. Le carriere alias sono solo un esempio di come il tema sia ormai penetrato nella nostra quotidianità. Da qualche giorno le carriere alias sono regolamentate anche presso il Comune di Milano. Tutti i dipendenti potranno richiedere che il badge, il nome sulla porta dell’ufficio o l’indirizzo di email siano adeguati alla loro identità di genere. La propaganda aumenta la sua pressione. Non potendo cambiare la realtà, si sforza di cambiare il significato delle parole.

Esiste la disforia di genere? Forse sì, probabilmente sì, ma non certo nelle dimensioni in cui sembra diffondersi assecondando le teorie gender. Il rischio, infatti, è che la propaganda del gender fluido faccia crescere il disagio psichico e lo moltiplichi, anziché risolverlo.

È del 24 febbraio scorso un bellissimo articolo sul Corriere della Sera, a firma di Susanna Tamaro, in cui la nota scrittrice triestina parla di sé “bambina in un corpo sbagliato”. Il momento di confusione identitaria si risolse poi senza problemi nella crescita e nel confronto.

È esattamente quanto insegnava Jean Piaget, il grande psicologo e pedagogista svizzero morto nel 1980. Secondo Piaget lo sviluppo cognitivo del bambino dipende dall’interazione con la realtà circostante, dalla quale acquisisce informazioni utili alla conoscenza pratica, un processo di costruzione continua. Piaget riteneva che i bambini creano o costruiscono la loro conoscenza attraverso interazioni con il mondo fisico e sociale e queste costruzioni fanno da fondamento al cambiamento evolutivo.

Il confronto con modelli paterno e materno permette al bambino, secondo Piaget, di superare la fase di ambiguità sessuale, riconoscendosi, generalmente, nell’identità sessuale corrispondente al sesso biologico.

Il problema è che oggi alla evidenza scientifica si preferisce l’ideologia e che l’ideologia gender ha trasformato i modelli parentali in stereotipi.

Il gender, infatti, mira alla decostruzione degli stereotipi, connotando con questo termine dispregiativo anche le tendenze più naturali, come quelle alla paternità ed alla maternità, e mira alla costruzione di una nuova etica, dove l’assurdo dell’uomo che resta incinto/a o di quello che allatta sono spacciati come normalità.

Solo il Papa è rimasto a gridare che si tratta di aberrazioni, di “colonizzazione ideologica”, in compagnia di alcune femministe storiche, come Marina Terragni, che contro l’indistinta fluidità del gender stanno combattendo una battaglia tutta al femminile.

Speriamo che il ripensamento britannico costituisca l’inizio della fine per l’ubriacatura gender e che possa aiutare a far luce su quanto sta ancora accadendo a Firenze, nell’Ospedale di Careggi.

 

Gian Luigi Gigli

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