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Opinioni

Pasolini alla maturità e quel “tintinulà dai gris” che ritorna

Sessant’anni fa un amico docente di lettere in una scuola superiore di Udine mi disse che ai suoi alunni piaceva la poesia di Pasolini.

Io, che avevo superato quell’esame nel 1956, quando il programma di letteratura italiana si fermava al cosiddetto Carpadan (acronimo da leggere, in chiaro, Carducci Pascoli D’Annunzio), fui sorpreso e contento per quella notizia, ma l’amico spense i miei entusiasmi dicendo che Pasolini non era in programma: era lui che tentava di aggiornare, fuori programma, i suoi alunni, per dimostrare che anche la poesia nel tempo assumeva diversi contenuti e svolgeva ruoli culturali diversi.

Se dunque nel 2025, cioè dopo sessant’anni, un testo poetico di Pasolini è stato proposto come traccia (ai miei tempi si diceva tema) per il recente esame di maturità, possiamo pensare che il programma d’insegnamento (se ancora esiste) sia stato allungato, ma qualcuno dice che siamo arrivati a Ungaretti, e qui è meglio fermarsi per non andare “fuori tema”.

Domandiamoci, piuttosto, quale poesia è stata proposta, e quanti l’hanno commentata: soltanto il 7% dei maturandi.

Questo il testo, desunto dal sito ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione:

Mi ritrovo in questa stanza
col volto di ragazzo, e adolescente,
e ora uomo. Ma intorno a me non muta
il silenzio e il biancore sopra i muri
e l’acque; annotta da millenni
un medesimo mondo. Ma è mutato
il cuore; e dopo poche notti è stinta
tutta quella luce che dal cielo
riarde la campagna, e mille lune
non son bastate a illudermi di un tempo
che veramente fosse mio. Un breve arco
segna in cielo la luna. Volgo il capo
e la vedo discesa, e ferma, come
inesistente nella stanca luce.
E così la rispecchia la campagna
scura e serena. Credo tutto esausto
di quel perfetto inganno: ed ecco pare
farsi nuova la luna, e – all’improvviso –
cantare quieti i grilli il canto antico.

Sì, c’è tutto il giovane Pasolini in questi versi del 1943 o 1944: il mistero del tempo che passa e trasforma uomini e cose, scandito da un muto oggetto celeste chiamato luna, che comunica con noi soltanto con variazioni della forma e della luce, e commentato con antica indifferenza dai grilli.

Sì, c’è tutto il giovane Pasolini in questo mazzetto di versi spezzati per togliere, non per aggiungere ritmi, in bilico fra metri poetici e prosa versicolata, ma a nostro giudizio non è il migliore di quel tempo.

Proviamo ad accostarlo a un contemporaneo canto in friulano:

Co la sera a si piert ta li fontanis
il me paìs al è colòur smarìt.

Jo i soj lontan, recuardi li so ranis,
la luna, il trist tintinulà dai gris.

A bat Rosari, pai pras al si scunìs:
jo i soj muart al ciant da li ciampanis.

Forest, al me dols svualà par il plan,
no ciapà pòura: jo soj un spirt di amòur

che al so paìs al torna di lontan.

Da “Poesie a Casarsa”, 1942).

Aveva ragione Gianfranco Contini, quando scrisse che l’arpa del poeta Pasolini suonava allora meglio in friulano che in italiano (“Corriere del Ticino”, 24 aprile 1943).

Bella l’immagine dei grilli che cuieti cantano il canto antico, ma insuperato rimane il verso la luna e il trist titinulà dai gris:  in friulano esiste il verbo “tintinà”, ma qui il poeta inventa un neologismo, meraviglioso anche musicalmente, per descrivere il canto dei grilli: “tintinulà”.

Diranno i nostri lettori: come si può proporre come traccia una poesia in friulano a tutti gli studenti che parlano solo l’italiano e/o altri dialetti?

Impossibile, infatti, ma rimane dimostrato che il migliore Pasolini è quello friulano, ed è un vero peccato che molti (anche in Friuli) non lo possano gustare.

Gianfranco Ellero

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