Stiamo perdendo, purtroppo, la cultura degli umanisti che, fra Trecento e Quattrocento, riscoprirono l’antichità greco-romana dopo i cosiddetti “secoli bui”: volevano far rivivere, per studio ed imitazione, le virtù dell’antichità, riportando l’uomo al centro della storia.
Riapparvero allora non soltanto le bellezze artistiche e letterarie greco-latine, ma anche le opere dei grandi storici (Tucidide, Strabone, Tito Livio …), che in realtà erano degli eruditi, portatori di una cultura “a largo spettro”: nessuna “materia” era estranea ai loro racconti.
Nei secoli successivi la cultura rimase umanistica, con largo spazio per il latino e la storia, fin che fu riservata al clero e alla nobiltà. Poi man mano che la scolarizzazione si allargava alle altre classi sociali, si cominciò a distinguere fra materie “utili” e “inutili”, fino alla recente eliminazione del latino e della geografia, e l’attenuazione di quelle “utili”, fra esse la storia.
Anche lo studio della lingua di comunicazione, l’italiano, fu attenuato: in fin dei conti un operaio e un impiegato non “di concetto” mica devono tenere lezioni d’alto livello, si disse e si dice, e allora promuoviamoli anche se commettono errori di vario genere.
Stiamo così arrivando a una brutta malattia collettiva: l’ignoranza immanente, premessa necessaria per ripetere a cuor leggero gli errori del passato.
La storia, d’altra parte, è la più criticata delle materie (la scrivono i vincitori; ognuno la racconta a modo suo…), spesso la peggio insegnata, e – naturalmente – la meno amata dagli alunni: che ci vuole ancora per considerarla inutile?
La matematica (anch’essa “inutile” se non la si pratica da fisici e ingegneri) può anche aiutarci a “vedere l’invisibile”, come il big bang o la materia oscura, ma non a collegare un prima con un dopo nella vita collettiva e politica, non a ricostruire fenomeni di causa-effetto fra eventi all’apparenza sconnessi. E non basta: mentre è possibile scrivere la storia della matematica, è impossibile pensare alla matematica della storia!
Se non l’hanno ancora eliminata dalla scuola pubblica ciò dipende solo dal fatto che gli Stati, non solo l’Italia, vogliono formare i giovani secondo una determinata ideologia, da inoculare attraverso insegnanti trasformati in propagandisti ideologici, e ciò contribuisce a sminuire ulteriormente il valore della materia.
Come si vede, la vera storia, cioè quella raccontata, con tutti i suoi limiti umani, da un vero storico, cioè da un cercatore di verità, è un fiore meraviglioso circondato da erbacce che rischiano di soffocarlo.
Concludiamo con una domanda: è poi vero che non è maestra di vita? Sì, purtroppo è vero: la Prima guerra mondiale, ad esempio, fu preparata e voluta da persone di alta cultura, che conoscevano molto bene la storia.
Questa sarebbe un’ulteriore ragione per spingerla fuori dalle aule, ma non possiamo dimenticare che se non è maestra dei popoli, è maestra della vita personale di tutti coloro che la studiano, perché dilata la loro mente, la rende sensibile alla complessità degli eventi, fornisce strumenti per evitare le trappole ideologiche: nessun’altra materia è altrettanto formativa ed educante, nessun’altra può rispondere a domande sul passato, con risposte utili nel presente e nel futuro.
Noi non possiamo sapere, tuttavia, se e in che misura la conoscenza storica incide sul comportamento dei politici che la conoscono: non sappiamo, in verità, quanti errori di governo furono evitati grazie alla scienza storica, perché il bene non fa notizia, oppure scompare se confrontato con l’enormità del male.
Tutti conosciamo, ad esempio, gli errori del fascismo, ma raramente ricordiamo che Luigi Einaudi, dopo il 1945, evitò che l’Italia si ammalasse di inflazione galoppante come la Germania negli anni Venti.
Gianfranco Ellero