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Commento al Vangelo

«Guardatemi, sono proprio io»

Dal Vangelo secondo Luca Lc 24,35-48

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Parola del Signore

Commento al Vangelo del 14 aprile 2024,
III Domenica del Tempo di Pasqua

A cura di don Alberto Santi

Don Alberto Santi

Nel nostro tempo, come una nuova epidemia, la paura si è diffusa dappertutto; contagia tutte le età e tutti gli ambienti, ma invece che essere riconosciuta come una malattia, è giustificata come una sana forma di realismo.
Forse anche noi, come i discepoli nel cenacolo, ne siamo ormai irrimediabilmente contagiati: loro, stupiti e spaventati, credono di vedere un fantasma (Lc 24,37). Nonostante il racconto degli amici di Emmaus, gli apostoli sono ancora titubanti ed agitati.
Forse anche noi siamo così: di fronte ad un contesto scettico e irridente preferiamo rinchiuderci nella illusoria sicurezza delle nostre case e delle nostre sacrestie, parlando solo tra di noi. Messo il naso fuori rimaniamo in silenzio, come gente che ormai non sa più che cosa dire, che in fondo si è sbagliata ad innamorarsi della speranza e delle promesse di Dio.
Forse anche noi ci portiamo dentro rassegnati le ferite della vita, sulle spalle il peso dei peccati e, sconfortati per i tanti fallimenti, siamo incapaci di riconoscere che invece tutti abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1Gv 2,5).
L’insistenza di Gesù nel volersi rivelare come persona vivente e non come nebulosa presenza manifesta la fatica di sempre nel credere nella risurrezione e nella possibilità per tutti di un reale cambiamento.
Gesù in persona mangia davanti ai suoi discepoli per fugare ogni loro dubbio. La difficoltà degli apostoli è la stessa di ognuno di noi che, nonostante tante catechesi, davanti alla morte rimaniamo paralizzati dalla paura.
La resurrezione di Gesù non è semplicemente un’esperienza interiore dei discepoli, una convinzione che è maturata progressivamente in loro partendo dal fatto che non poteva tutto finire sul Calvario. Gesù è davvero risorto e loro lo hanno incontrato, visto, toccato. La sua manifestazione non è avvenuta solo nel cuore delle persone, ma nella loro concreta realtà fisica. Naturalmente la dimensione della risurrezione va al di là della nostra realtà attuale: il Risorto non è più vincolato dalle dinamiche fisiche di questo mondo. Però il Risorto, il Crocifisso, è il Figlio che si è fatto uomo e resta uomo; con le sue mani, i suoi piedi e il suo costato feriti per sempre.
Oggi noi non possiamo incontrare fisicamente il Risorto, ma sempre ci è data la possibilità di entrare in relazione con Lui: nella sua Parola, nei sacramenti, in particolare nell’Eucaristia.
Non lo incontriamo certo come lo hanno incontrato gli apostoli e gli altri discepoli; ci dobbiamo fidare della loro testimonianza, che è giunta a noi attraverso l’annuncio della fede e il suo essere vissuta di generazione in generazione fino a oggi. Ieri come oggi, però, la manifestazione del Risorto ci trasforma, vince le nostre paure e in Cristo ci è data la possibilità di uscire delle paludi delle nostre ansie per farci finalmente avanti con coraggio. Sperimenteremo così una gioia incomprensibile: pur nella dura, pur nella solitudine, esposti alle critiche e alla chiacchiera, saremo lieti perché Dio ha adempiuto ciò che aveva annunciato (At 3, 18).

don Alberto Santi

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