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Commento al Vangelo

Guarì molti che erano affetti da varie malattie

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1,29-39)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, andò subito nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui, si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Parola del Signore.

 

Commento al Vangelo del 4 febbraio, V Domenica del Tempo ordinario (Anno B)

A cura di don Davide Larcher

 

Don Davide Larcher

La Parola che il Signore Gesù ci consegna in questa domenica, attraverso la penna dell’evangelista Marco, racconta la meravigliosa guarigione che il Salvatore dona alla suocera di Simon Pietro nell’intimità della sua casa, una pagina in cui ogni personaggio sembra volerci insegnare qualcosa.
Guardiamo, in primis, a Gesù. È sabato, il Maestro ha appena lasciato la sinagoga e ora traduce concretamente la Parola e la Legge in azione di vita. In fo

ndo, questo è ciò che dovremmo imparare a fare anche noi, quando ci ristoriamo con la sua Parola e con l’Eucarestia. Gesù entra nella casa di Simon Pietro: sua suocera è sofferente, a letto, a causa di una grande febbre. Non ha un nome, non ha nemmeno parole, solo tanta sofferenza. E Gesù si china su di lei, con quella movenza di miseric

ordia e compassione con la quale la scrittura descrive il venirci incontro di Dio. Che gioia sapere che se il nostro cuore è malato, e lo spirito è macchiato ed imperfetto, Dio non prende le distanze. Anzi, si avvicina, si commuove, tende la mano. La vita di fede è tutta questione di imparare ad afferrare quella mano. Gesù, poi, in gran segreto e ancora nel buio delle prime ore del mattino, si ritira a pregare, a gustare la potenza del Padre. È questo il suo motore: garantirsi sempre un momento di intimità con Lui. All’alba è già ora di ripartire, nonostante gli apostoli, notando il successo che Gesù ha riscosso a Cafarnao, gli chiedano di restare lì. Ma Lui ci insegna che la fede non può fermarsi solo dove le cose sembrano andare bene. In ogni angolo del pianeta ci sono cuori da guarire: per Gesù e per chi lo ama è ora di ripartire.

Guardiamo, ora, alla suocera. Non ha nome e non parla, dicevamo. Ma la sua sofferenza stessa è in qualche modo preghiera. Quella mano che il Signore le tende lei la afferra, e subito si sente guarita, si sente risorta; il macigno di quella febbre il Signore l’ha spostato, e lei può finalmente uscire dal sepolcro della sofferenza.
Ma è la sua reazione a spiazzarci: non si vanta, non va a mostrare a tutti la fortuna che le è toccata in sorte. Si mette, invece, a servire Gesù e i fratelli. Guardando lei, capiamo che questo è il vero sintomo di una vita risorta, di un cuore guarito, che ha aperto la porta al Maestro: l’aumento del desiderio della carità, di condividere con gli altri l’amore che ci ha investiti. Tutto il resto è, per così dire, secondario.

Guardiamo, poi, agli apostoli. È la loro voce, la loro preghiera, l’amore che hanno per quella donna a portare Gesù da lei. La preghiera di noi discepoli di ogni tempo è preziosissima. Siamo noi, che viviamo da risorti, a poter dar voce a chi non ce l’ha e che vive nel buio della sofferenza. Abbiamo sicuramente un amico che vive così, che non ha voce per parlare a Dio, che fatica ad afferrare la mano; ecco, questa settimana potremmo diventare la sua voce. Non solo: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni non si limitano a farsi voce della sofferenza di fronte a Gesù. Lo accompagnano, lo portano dove c’è bisogno di lui. Anche loro sanno che accanto alle parole serve la concretezza della carità.
Proviamoci anche noi, discepoli talvolta malconci, ma guariti dall’amore di Dio.
don Davide Larcher

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