di Francesco Marangon
Più vicino è buono.
Sei italiani su dieci si dichiarano disponibili a pagare di più per prodotti agricoli sostenibili, ovvero che limitano il loro contributo ai cambiamenti climatici. La maggioranza afferma che l’agricoltura ha già dato un contributo importante nella lotta al cambiamento climatico e due terzi ritengono che gli agricoltori dell’UE potrebbero ancora fare di più cambiando il loro modo di lavorare, anche se ciò significherebbe rendere l’agricoltura dell’UE meno competitiva a livello globale. Mentre oltre il 90% degli italiani è favorevole agli acquisti da una filiera corta legata alla vendita diretta degli agricoltori o a pochi passaggi dal produttore al consumatore. Anche nel nostro paese, inoltre, le aree rurali sono considerate sempre più importanti e il principale compito della Politica agricola comune (PAC) rimane quello di garantire un approvvigionamento alimentare stabile. Questi sono solo alcuni degli interessanti aspetti di un’indagine sull’agricoltura pubblicati a giugno da Eurobarometro, uno strumento utilizzato dalle istituzioni e agenzie dell’UE per monitorare regolarmente lo stato dell’opinione pubblica in Europa. L’indagine è stata in questo caso condotta tra i cittadini dei 27 Stati membri dell’UE tra il febbraio e marzo di quest’anno, proprio durante le prime settimane della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.
L’orientamento raccolto dall’ascolto degli europei sembra indicare un indirizzo politico-economico volto ad affermare il diritto dei cittadini a definire le proprie politiche e strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo di cibo, basandole sulla piccola e media produzione. In sintesi “vicino è bello e buono”. D’altra parte queste richieste provengono in maniera sempre più decisa da parte dei consumatori: i risultati di diversi studi condotti presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche dell’Università di Udine mettono in luce proprio la tendenza da parte della domanda a favorire le imprese locali che si fregiano di produrre percorrendo la strada verso la sostenibilità. Sembra allora che la pandemia scoppiata quasi tre anni fa e la più recente e drammatica crisi bellica si siano rivelate un’opportunità per i piccoli produttori locali, i quali sono riusciti ad incrementare la propria visibilità e a sperimentare nuove forme di commercializzazione che hanno trovato il favore dei consumatori. Le reti di relazioni fra produttori e le tecnologie utilizzate hanno giocato positivamente nelle filiere agroalimentari locali e la loro diffusione è destinata a crescere grazie allo sviluppo della digitalizzazione dell’agroalimentare anche all’interno di processi partecipativi.
Il perdurare della situazione di crisi socio-economica richiede indubbiamente la necessità di mantenere alta l’attenzione affinché il settore primario non subisca pesanti ripercussioni strutturali, con ricadute sull’intera economia regionale. Il tessuto imprenditoriale dell’agricoltura in Friuli Venezia Giulia – come ci evidenziano i dati del censimento del 2020, da poco pubblicati dall’ Istat – è, infatti, ancora ampiamente basato su aziende gestite nella forma individuale o familiare, spesso di dimensioni (economiche e strutturali) medio-piccole.
La recente iniziativa regionale “Fabbricare Società – 1° Forum delle società benefit” ha posto l’attenzione sul fatto che la realtà imprenditoriale regionale sta sempre più ricercando nuovi paradigmi produttivi all’insegna della responsabilità sociale. Le imprese cioè, oltre a cercare di far prosperare fatturato e occupazione, fanno la differenza sul territorio di riferimento per i lavoratori e le altre imprese. Una prospettiva che da tempo – ed in modo originale – sta interessando anche il settore agroalimentare, sempre più attento all’impatto sociale e alla sostenibilità della propria catena di produzione di valore. Senza dimenticare la capacità di ammodernarsi e innovarsi, secondo una prospettiva smart che dalle nostre parti, in senso ancora più ampio, mi è capitato di riassumere con il termine friulano “snait”. Il settore agroalimentare si presta particolarmente al perseguimento di finalità di beneficio comune, essendo in grado di determinare esternalità positive, nei confronti del territorio, dell’ambiente e della comunità locale.