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L'editoriale

L’editoriale della settimana

di

Antonella Sbuelz

La pietra è stata muro
Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 44/2023

Rami e Bassam conducono vite parallele, contigue nello spazio ma sideralmente lontane nella quotidianità.

Li accomuna dapprima l’amore per le proprie bambine e poi lo strazio per la morte improvvisa delle figlie. Poco conta che la morte sia arrivata per mano di un Kamikaze palestinese o  di un membro  della polizia di frontiera israeliana: Rami e Bassam non sono più un israeliano e un palestinese. Sono uomini. Sono persone abitate dall’assenza. Sono padri.

E riescono a riconoscere il proprio strazio di padre nello strazio di un altro padre.

Tutto qui. Tutto qui? Semplice e sublime. Umano e sovrumano.

Nel suo romanzo Apeirogon, lo scrittore Colum McCann, ispirandosi a una storia vera, rievoca l’amicizia di due uomini che la geografia e la Storia vorrebbero nemici e che spezzeranno invece la catena dell’odio imparando a riconoscere il proprio dolore nel dolore dell’altro.

Siamo in tanti a credere nella parola.

Siamo in tanti a  credere nel suo potere di veicolare senso, di rilanciare prospettive di dialogo, di essere ponte fra visioni, culture, opinioni diverse. Forse mai come in questi ultimi tempi, tuttavia,  stiamo percependo l’impotenza – se non la resa- della parola: la brutalità del conflitto in Medio Oriente ha violentemente radicalizzato l’opinione pubblica, sostituendo la disponibilità al confronto con una  propensione allo schieramento che polarizza lo scontro,  acuisce le tensioni, fomenta l’odio.

Forse è proprio da qui che dobbiamo ripartire.

Dal superamento di una logica binaria che tende a far confliggere anche la società civile: amico o nemico, con me o contro di me.

Si tratta di una dicotomia brutalmente elementare, che si illude di rispondere con categorie semplici a situazioni complesse.

Di fronte alle derive di un  rancore che sta generando – fra l’altro-  spaventosi rigurgiti di antisemitismo, si fa invece urgente il superamento delle contrapposizioni per riappropriarci di un sistema immunitario collettivo capace di generare identificazione: un’identificazione che  riconosce il dolore e il lutto dell’altro in quanto essere umano, indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa, nazionale o culturale.

Di fronte alla morte, come può la solidarietà funzionare a senso unico?

L’organizzazione israelo-palestinese The Parents Circle- Families Forum (PCFF), che include oltre 600 famiglie colpite da lutti generati dal conflitto israelo-palestinese, ha saputo pronunciare parole che in questo momento esprimono lucidità e coraggio: “Il costo della violenza non si conta in numeri, si conta in sogni frantumati. È il momento per tutte le parti coinvolte di riflettere sull’insensatezza di questo conflitto e di riconoscere l’umanità condivisa che ci lega tutti.”

 

La vedi quella pietra?

È stata muro. E quel muro

lo vedi? È stato casa.

La voragine fumante è stata strada

e la strada ha collegato case, cose.

Questa polvere di schegge è stata vetro:

forse lenti di occhiali, finestre,

fanali di auto, lampioni.

Quel lamento è stato una risata,

la sillaba strozzata dentro l’urlo

è stata la monodia di un suono.

Eppure l’infanzia del mondo

ha forse conosciuto l’equità: uguali

la corsa verso l’acqua, la freccia

per conquistare il cibo, il buio

nel cuore della grotta.

Uguali il centro e le periferie,

il dominatore e il dominato,

l’incanto e il terrore del tuono.

Lo vedi quel soldato? È stato

un uomo.

Antonella Sbuelz

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