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Uniud promossa, ma…

Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 29/2023

In principio è sempre campanilismo. Il primo irresistibile gesto che facciamo quando ci si offre davanti agli occhi una classifica è quello di confrontare noi e gli altri. Criteri e punteggi poco importano, ciò che conta è l’essere un gradino sopra. Confesso, da ex studente, di aver provato anch’io un istintivo senso di appagamento nel vedere Udine sul podio delle migliori università d’Italia secondo il Censis. Certo, vanno fatte le dovute precisazioni: l’Università di Udine è medaglia d’argento all’interno di un gruppo ristretto, che esclude le grandi città e considera solo gli atenei di medie dimensioni, quelli cioè che contano tra i 10 e i 20 mila studenti. Eppure Uniud si trova comunque più in alto in classifica rispetto a istituzioni blasonate e ben più radicate nel tempo. Ed è lì che scatta un sentimento di orgoglio che potremmo definire quasi calcistico, lo stesso che ci accomuna tutti di fronte ad una vittoria della nazionale. Sto parlando di quel retropensiero che ci fa dire che, se siamo i migliori, “un po’ è anche merito mio”.

Ecco, sgombriamo subito il campo da questo equivoco. Uniud nel 2022 era quinta, nel 2021 terza, nel 2020 sesta, nel 2019 ancora terza in questa stessa graduatoria, che comprende in tutto 17 università (in totale in Italia sono 96). Basta forse questo a ridimensionare l’atavico campanilismo che proviamo di fronte a notizie del genere, permettendoci così di analizzarle per quello che sono. Le classifiche, come i sondaggi, sono la fotografia di un momento, peraltro scattata da una precisa “angolazione”, a seconda dei criteri presi in esame.

Osservando quindi i sei indicatori valutati dal Censis, scopriamo che l’Ateneo friulano ottiene il punteggio più alto in comunicazione e servizi digitali, si difende bene sul fronte delle borse di studio, dei contributi e dei servizi agli studenti, meno bene su quello delle strutture. Due dati, però, balzano agli occhi: da un lato l’indice di occupazione dei laureati, che vede Udine ai vertici nazionali, dall’altro quello dell’internazionalizzazione, con Uniud che non va oltre il 14esimo posto. Volendo fare della facile ironia, sembra quasi la materializzazione del più diffuso dei luoghi comuni: il friulano lavoratore alacre, ma poco propenso alle relazioni, ancor più se con l’estero.

Nel corso dei cinque anni trascorsi all’Università di Udine ho avuto la fortuna di poter svolgere due mobilità Erasmus (e mezzo, causa Covid) e ricordo la diffidenza di molti miei coetanei di fronte all’opportunità di studiare all’estero per qualche mese. Si tratta senza dubbio di un’impressione personale, che trova però qualche conferma nei dati resi pubblici dalla stessa Uniud, sebbene ancora in parte soggetti alle restrizioni pandemiche: nell’anno accademico 2021/22 sono stati meno di 400 gli studenti in mobilità internazionale, a fronte di 15.241 iscritti. Ancora meno quelli in arrivo dagli altri atenei del mondo: appena 179.

È un campanello d’allarme? Dipende da cosa intendiamo per Università. Se si tratta di un’istituzione chiamata “soltanto” a formare e inserire nel mondo del lavoro generazioni di studenti, allora quello di Udine è senza dubbio un modello virtuoso. Lo attestano anche i recenti dati Almalaurea, che pongono Uniud al quarto posto nazionale per occupabilità a un anno dalla laurea, questa volta in una classifica che conta 77 atenei. Credo però che un’Università sia chiamata ad essere molto di più: un luogo di ricerca, dove esplorare la realtà nelle sue sfaccettature, allargare i propri orizzonti e, così facendo, conoscere se stessi e gli altri, con l’ambizione di uscirne migliori e cambiare il mondo.

Potrà sembrare un pensiero romantico, ma ciò che sono adesso, persino il lavoro che faccio, lo devo a quanto di apparentemente “superfluo” ho fatto negli anni dell’Università: le esperienze all’estero, i corsi e le conferenze extracurricolari, le gite e soprattutto il tempo trascorso con gli amici. E questo nessuna classifica riuscirà mai a raccontarlo.

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