Presentata la prima relazione annuale dell’Osservatorio regionale antimafia. Dal 2014, c’è stata una escalation di fenomeni legati alle associazioni criminali. Indagini da Lignano a Tarvisio. Nella foto il prefetto Michele Penta.
«Non siamo una regione con presenza di criminalità organizzata e di stampo mafioso forte come quella che si registra in Lombardia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, ma non possiamo dormire sonni tranquilli neppure qua. Dal 2014, c’è stata una escalation di fenomeni legati alle associazioni criminali nazionali e non da meno locali. È come se quel sistema sociale chiuso che caratterizzava il Friuli Venezia Giulia fosse venuto meno nella sua funzione di isolamento, che in questo caso significava protezione». È quanto è stato evidenziato e che emerge dalla prima relazione annuale dell’Osservatorio regionale antimafia, istituito ai sensi della legge regionale 21/2017 «per il contrasto e la prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata e di stampo mafioso». E’ costituito da cinque componenti, nominati dal Consiglio regionale il 22 novembre 2017 e prorogati sino ad aprile 2020.
Si tratta di un organismo istituito in molte regioni d’Italia ma non in tutte, è stato fatto presente a sottolineare come il Consiglio regionale del Fvg, a cui l’Osservatorio fa diretto riferimento, sia in prima linea in questo aspetto offrendo un deterrente all’insediamento delle organizzazioni malavitose nel nostro territorio. Diversi i settori in cui la criminalità organizzata si è infiltrata in Fvg, a cominciare da quello del riciclaggio del denaro sporco per passare agli appalti e soprattutto ai subappalti, ai grandi traffici e ai trasporti, attraverso soggetti locali compiacenti ma anche stranieri, in particolare dell’Est Europa.
Dall’Osservatorio un elenco delle evidenze investigative e giudiziarie più significative degli ultimi 20 anni: provvedimenti cautelari eseguiti nei confronti di alcuni componenti della famiglia Emmanuello di Gela, attivi nell’esecuzione di opere edili nel Comune di ; indagini sull’insediamento di alcuni esponenti della camorra presso il mercato di ; confisca di beni a all’imprenditore edile palermitano Pecora e a componenti della famiglia Graziano; sequestro della Sermac di , risultata di proprietà di un gruppo criminale comprendente esponenti della camorra, della ndrangheta e del clan Casamonica; indagine a sulla presenza di un clan della ndrangheta di origine crotonese con a capo Giuseppe Iona, attivo nel settore del traffico di stupefacenti e armi; indagine, avviata dalla Direzione investigativa antimafia di Palermo, sui tentativi di infiltrazione di un imprenditore palermitano legato a “Cosa nostra” e operante a Monfalcone; indagine sulla presenza della camorra al Porto di , con l’arresto dei vertici della società “Depositi Costieri”; nel corso delle indagini è emerso un sofisticato sistema di scatole cinesi messe in piedi per riciclare denaro sporco; indagine sulla presenza della criminalità organizzata nel sistema dell’accoglienza degli immigrati a Trieste; indagine sul riciclaggio di proventi illeciti attraverso locali di ristorazione a Trieste e , con il coinvolgimento di note pizzerie e ristoranti; indagini sulle residenze a , con la migrazione di famiglie campane per spostare un consistente numero di voti di preferenza nelle elezioni amministrative del 2012; indagini presso un centro commerciale di , dove alcuni locali sono risultati di proprietà della nota famiglia Piromalli; indagini sugli appalti truccati per la realizzazione di varie opere, tra le quali la terza corsia dell’autostrada A/4
“Come si evince da tale sintetica panoramica – è riportato nella relazione – non si può più parlare di tentativi di infiltrazione, né di sporadiche incursioni criminali in alcuni settori economico-produttivi, bensì di un consolidamento strutturato e radicato in alcuni specifici ambiti, quali quello del riciclaggio, accresciutosi negli anni. Ma l’allarme che tale situazione oggi determina, peraltro ancora da taluni sottovalutato, non è certo di quest’ultimo periodo o di un passato recente, è un allarme lanciato ben trenta anni fa dell’allora Procuratore della Repubblica di Marsala, Paolo Borsellino”. Due i livelli su cui intervenire – è stato spiegato -, creando una rete di relazioni: da una parte supportare gli enti locali, in particolare i piccoli Comuni, meno strutturati rispetto agli altri ma dove il sindaco svolge una funzione preminente di sentinella e osservatore privilegiato di ogni novità, dall’altra operare con le scuole attraverso l’informazione ma anche la formazione. E che questa sia la via è stato confermato dall’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci FVG) e dall’Ufficio scolastico regionale durante la presentazione della relazione annuale 2018-2019 dell’Osservatorio, che si è scelto di rendere pubblica ogni 21 marzo in occasione della “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”.
Riciclaggio, dunque, con denaro proveniente da droga e armi che viene “ripulito” con attività lecite, le quali però finanziano altre attività illegali, secondo un sistema che si rinnova ogni volta. E poi l’infiltrazione nelle società “decotte”, ovvero in difficoltà economica, che vengono fatte fallire e poi acquisite per finalità indebite. E ancora la corruzione, attraverso le minacce prima alla persona poi alla sua famiglia. Il colloquio con il territorio deve essere costante – avverte l’Osservatorio – per la capacità camaleontica che hanno le organizzazioni criminali di mutare una volta scoperte, e di re-infiltrarsi nel tessuto sociale ed economico del luogo. Siamo i primi interessati a collaborare con l’Osservatorio antimafia – ha detto l’Anci – come amministratori ma anche come operatori e professionisti. La scuola già opera con le forze di polizia – ha aggiunto l’Ufficio scolastico – con progetti per la legalità economica: l’auspicio è raccordare le azioni soprattutto per la prevenzione, che qui è strategica. Non si tratta solo di proteggerci da appalti truccati che creano riciclaggio – ha chiosato la Giunta regionale -, ma tutelare la sicurezza dei nostri cittadini, perché un appalto truccato vuol dire anche utilizzo di materiali scadenti o contraffatti.