Tra inviti all’astensione e una congiuntura mediatica più unica che rara, l’appuntamento referendario di domenica 8 e lunedì 9 giugno sta rimanendo del tutto in ombra. Proviamo quindi a far luce sui cinque quesiti referendari, uno riguardante la cittadinanza e quattro il lavoro.
Innanzitutto, si tratta di referendum abrogativi, con cui cioè i cittadini e le cittadine possono chiedere di eliminare totalmente o in parte una norma. Inoltre, perché il voto sia valido serve che alle urne si rechi almeno il 50% più uno degli aventi diritto.
Chi li ha proposti
Il referendum sulla cittadinanza era stato proposto all’inizio di settembre dal deputato Riccardo Magi, del partito progressista +Europa, a cui poi si erano aggiunti diversi altri partiti e associazioni, e aveva raccolto molto rapidamente oltre 637mila firme, anche grazie a una significativa mobilitazione online. I quesiti sul lavoro riguardano tra le altre cose il Jobs Act, la legge sul lavoro introdotta nel 2015 dal governo di Matteo Renzi, e alcune norme approvate tra il 2008 e il 2021 sulla responsabilità solidale delle aziende committenti in caso di infortunio e malattia professionale dei lavoratori in appalto. A proporli è statala CGIL e sono sostenuti (anche se non in maniera uniforme) da PD, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra. Si sono detti contrari, oltre ai partiti della maggioranza di governo, anche Azione e Italia Viva, il partito di Renzi.
Scheda gialla. Sulla cittadinanza italiana
Il referendum sulla cittadinanza italiana (scheda gialla) propone di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza regolare necessari per poter chiedere la cittadinanza. Più nel dettaglio la proposta è modificare l’articolo 9 della legge 91 del 1992 con cui si è alzato il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia per poter presentare la domanda di cittadinanza. Il quesito non modifica gli altri requisiti per ottenere la cittadinanza italiana, come conoscere l’italiano, avere un reddito stabile e non avere commesso reati. La riforma, potenzialmente, potrebbe riguardare 2,3 milioni di persone in Italia. È importante sottolineare che comunque gli anni per ottenere la cittadinanza sono in concreto ben oltre dieci, a causa dei tempi burocratici che possono allungarsi anche fino a tre anni.
Scheda verde chiaro. Sui licenziamenti illegittimi
Il primo quesito sul lavoro (scheda verde chiaro) punta ad abrogare le norme sui licenziamenti che consentono di non reintegrare un lavoratore licenziato in modo illegittimo se è stato assunto dopo il 2015. Nello specifico, il quesito chiede di abrogare la disciplina sui licenziamenti del cosiddetto “contratto a tutele crescenti” introdotto dal Jobs Act, secondo cui le persone assunte dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti (ad ora circa 3 milioni e 500 mila) non devono essere reintegrate nel posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo nemmeno se un giudice stabilisce che l’interruzione del rapporto di lavoro era stata ingiusta o infondata.
Attualmente la norma di legge prevede un indennizzo economico tra le 6 e le 36 mensilità di stipendio. La sua abrogazione farebbe tornare in vigore il sistema precedente al Jobs Act, quello cioè dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, modificato dalla cosiddetta “legge Fornero” del 2012. In estrema sintesi, per alcuni licenziamenti (come quelli considerati nulli per legge) sarebbe di nuovo possibile il reintegro della persona nel posto di lavoro, oltre al risarcimento economico.
Scheda arancione. Nelle piccole imprese
Il secondo quesito sul lavoro (scheda arancione) chiede di eliminare il tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. Nelle realtà con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto. L’obiettivo quindi è aumentare le tutele per chi lavora in piccole aziende, l’indennità infatti andrebbe stabilita da un giudice sulla base di una serie di criteri, tra cui la gravità della violazione, l’età, i carichi di famiglia e la capacità economica dell’azienda. Il quesito riguarda 3 milioni e 700 mila lavoratori.
Scheda grigia. Sui contratti a termine
Il terzo quesito sul lavoro (scheda grigia) è riferito ancora al Jobs Act e punta a eliminare alcune norme sull’utilizzo dei contratti a tempo determinato, cioè quelli con cui secondo una stima della Cgil lavorano circa due milioni e 300mila persone. Oggi tali contratti possono essere stipulati fino a 12 mesi senza che un datore di lavoro debba indicare un motivo specifico. L’obiettivo del referendum è limitarne il ricorso reintroducendo, tra le altre cose, l’obbligo per i datori di lavoro di indicare una “causale”, cioè il motivo per cui ricorrono a un tipo di contratto a termine e non a tempo indeterminato (al momento la scelta dell’azienda è insindacabile anche in un eventuale giudizio).
Scheda rosso rubino. Sicurezza sul lavoro
Il quarto quesito sul lavoro (scheda rosso rubino) mira ad aumentare la responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali. Allo stato attuale le norme stabiliscono che, negli infortuni, il datore di lavoro committente è responsabile in solido con l’appaltatore e i subappaltatori per i danni subiti dai lavoratori che non hanno la copertura assicurativa (Inail, l’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, o Ipsema, istituto di previdenza per il settore marittimo). La legge esclude però questa responsabilità se i danni sono causati da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore. Il referendum vuole eliminare tale clausola, estendendo quindi la responsabilità dell’imprenditore committente.
Anna Piuzzi