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Opinioni

Repubblica della Carnia. Il taglio inaspettato del discorso di Mattarella

La visita ad Ampezzo di Sergio Mattarella il 14 settembre scorso, nell’ottantesimo anniversario della Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli, rientra tra quegli avvenimenti che, se l’espressione non fosse abusata, si potrebbero definire “storici”. Non tanto perché sia stata la prima volta che un presidente della Repubblica si recava in Friuli per ricordare un episodio importante della resistenza nella nostra regione: già Napolitano, nel maggio 2012, aveva voluto commemorare a Faedis i fatti tragici di Porzûs. Quanto per il rilievo particolare che Mattarella ha voluto dare alla sua visita, con un discorso di taglio inaspettato e dai contenuti originali.

La “Repubblica della Carnia” fu un episodio rilevante nella lotta di liberazione. Nell’estate del 1944 le forze partigiane riuscirono a sottrarre al controllo nazifascista la Carnia, Tolmezzo esclusa, le alte valli del Pordenonese, porzioni di territorio dei comuni bellunesi di Lorenzago e Sappada: un’area considerevole, la più vasta in assoluto liberata in Italia al di qua delle linee tedesche. In numerosi dei quaranta comuni interessati si tennero dopo vent’anni libere elezioni locali, nelle quali votarono per la prima volta anche le donne. I CLN di valle cominciarono a discutere di questioni concrete: boschi, scuola, rifornimenti. Ad Ampezzo venne nominata una “Giunta provvisoria di governo” che, nelle poche settimane di vita che ebbe, emanò alcuni decreti che lasciarono intuire quale idea di futuro ci fosse dietro quello straordinario esperimento: un’Italia democratica, popolare, basata sui partiti antifascisti, dai liberali, alla Democrazia Cristiana, fino ai comunisti. In Carnia di schiuse una porta che lasciò entrare uno spiraglio di luce e di libertà, anticipando il 25 aprile 1945 e il 2 giugno 1946.

Il lungo discorso di Mattarella dal palco di fronte a Palazzo Unfer, dove la giunta di governo del 1944 si riuniva, ha chiamato in causa tutta l’esperienza della ventina di zone libere partigiane italiane. Ha riassunto le motivazioni storiche e militari di quella esperienza: l’attendismo, cioè l’idea di limitarsi ad aspettare l’arrivo degli Alleati liberatori, senza prendere le armi contro i nazifascisti, ha sottolineato il presidente, non poteva essere accettato da chi aveva patito le sofferenze di una guerra e della successiva occupazione tedesca, da chi vedeva i propri famigliari arrestati, deportati, uccisi. L’opzione militare partigiana, sostenuta dal CLN e dagli Alleati, nonostante i pericoli e le tragedie che fece correre alla popolazione, fu dunque indispensabile non solo per riacquistare quella dignità che il fascismo e la monarchia avevano annichilito, ma per porre le basi di una nuova Italia.

In questo senso, si è ben compreso perché, per celebrare l’anniversario delle repubbliche partigiane, il presidente abbia deciso di venire in Carnia. Perché nella scelta di separare governo civile e governo militare della zona libera, negli argomenti che passarono sul tavolo della giunta, nell’immediata indizione delle elezioni comunali a suffragio universale, nella pubblicità delle riunioni e degli atti amministrativi, gli uomini e le donne della Carnia gettarono le basi della futura repubblica. Lo fecero anche sulla base di una tradizione comunitaria molto salda, che si sarebbe innervata nell’idea di autonomia.

Di fronte a tutte le più importanti figure politiche regionali, e a migliaia di cittadini e cittadine accorsi ad Ampezzo, il discorso di Matterella ha toccato alcuni punti che è sembrato impossibile non ricondurre all’attualità: dalla sottolineatura che il fascismo fu connivente del nazismo hitleriano, alla vocazione profonda dell’Italia per la pace. Anche dalla medaglia d’oro Paola Del Din, che ha avuto parlare guardando in faccia Mattarella, sono risuonate parole non di circostanza, soprattutto nel suo ringraziamento alla presidenza per il suo costante lavoro a favore dell’unità del Paese.

La visita di Mattarella non è stata, insomma, solamente sventolio di bandiere ed applausi di piazza, che pure non possono mancare. In un Italia che fa fatica a ricordare e tende perfino a gettare ombre sulla lotta di liberazione dal nazifascismo, riconoscere il coraggio e il sacrificio degli uomini e delle donne che lottarono per la libertà ottant’anni fa è un dovere civile.

Andrea Zannini
(Università di Udine)

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