Tutti conosciamo che cosa significa “caffè sospeso”, un’abitudine perlopiù partenopea che prevede il dono di una tazzina di caffè ad uno sconosciuto nel bisogno. Ebbene, grazie a Illy Caffè, l’azienda con sede a Trieste, anche le visite possono essere “sospese”. Dunque, donate. L’iniziativa, promossa in collaborazione con la Lilt-Lega italiana per la lotta contro i tumori – per il secondo anno consecutivo – prevede la possibilità, per chi è in difficoltà economica o sta vivendo un disagio di qualsiasi tipo, di poter usufruire di un consulto oncologico del tutto gratuito. A disposizione – nelle principali città italiane, tra cui Trieste – per il 2025 ci sono 1580 “visite sospese”, progetto solidale a cui tutti possono contribuire, partendo proprio da un caffè, come spiega Cristina Scocchia, amministratrice delegata di Illy Caffè. «Chiunque può acquistare in un bar che serve il nostro caffè un abbonamento da 10 tazzine, l’undicesima viene regalata dal barista al cliente e la dodicesima la paghiamo noi alla Lilt, affinché ci sia un budget che permette un certo numero di visite gratuite. L’aspetto che più mi piace è che il progetto parte dal cuore non solo dell’azienda, ma anche da tutti noi».

Come è nata l’idea solidale?
«Dal concetto che noi abbiamo di azienda. Riteniamo che sia un corpo sociale con delle responsabilità nei confronti del benessere, sia dei collaboratori che delle comunità nelle quali siamo inseriti. Collegandoci a quella che in questo momento è una delle necessità più impellenti, le lunghissime liste d’attesa del sistema sanitario, abbiamo deciso di fare la nostra parte. Certo, è una goccia nel mare, ma speriamo vada nella direzione giusta».
Entriamo nel dettaglio dell’iniziativa…
«Abbiamo deciso di aiutare chi, per diverse ragioni, vive in una condizione di fragilità e non può permettersi una visita privata per qualsiasi patologia oncologica. Le persone vengono segnalate alla Lilt da organizzazioni del territorio che possono essere la Caritas, il Comune, le Forze dell’Ordine, la Croce Rossa, gli ospedali. Poi si procede all’erogazione della prestazione medica in maniera gratuita».
L’attenzione al prossimo, lei lo conferma, può entrare a far parte del “dna” di un’azienda e un caffè può davvero fare la differenza. Un’iniziativa che può essere copiata da chiunque…
«Penso che il compito delle aziende, non solo dell’amministratore delegato, ma di tutti i leader aziendali, a qualunque livello, sia proprio quello di unire il valore economico, che è importantissimo, ma non può essere il fine ultimo, a quelli etici, morali, sociali e ambientali. Dico sempre, con tanta convinzione, che la leadership non è potere, ma responsabilità, prendersi cura delle persone. Ecco, mi piacerebbe che sempre più aziende facessero rete e si impegnassero su questo fronte, perché ciascuno nel suo piccolo può fare la differenza».
Facendo un passo indietro, chi ha già potuto usufruire della visita sospesa nella passata edizione del progetto, ha lasciato qualche pensiero da condividere?
«Con questa iniziativa ci siamo rivolti a persone che sono state colpite due volte dalla vita. Ovviamente il conto più duro è quello del tumore; il momento della diagnosi, per tutti, è complicato sia a livello fisico che psicologico. In più queste persone hanno fragilità di partenza molto complesse. Lilt, attraverso le visite sospese, riesce a fornire non solo una prestazione medica, ma anche un supporto, un’accoglienza, un sostegno. Abbiamo ricevuto tanti messaggi toccanti e le persone sono veramente grate per questo aiuto».
La vostra sensibilità aziendale fa sì che non siate nuovi a progetti che vi impegnano sia a livello sociale che ambientale, anche nei paesi produttori di caffè, nelle comunità locali…
«Illy Caffè è impegnata da decenni nel sostegno delle comunità di produttori di caffè, che non sono grandi latifondisti, come si potrebbe pensare, ma la maggior parte è rappresentata da contadini che vivono al limite della povertà. Io stessa ho visitato una piantagione e sono rimasta veramente toccata da queste realtà. Sono stata anche in una scuola dove sono accolte 40 bambine tra i 4 e i 14 anni, figlie di ragazze madri che le hanno abbandonate in quanto femmine, mentre i figli maschi possono andare a lavorare anche se poco più che bambini. Queste alunne hanno fatto uno spettacolo per ringraziare l’azienda del supporto che offre al progetto didattico. Una bambina mi ha detto che il dono più grande è poter avere due pasti assicurati al giorno e pure la possibilità di farsi una doccia calda. Non può non far riflettere, perché mangiare e lavarsi, da questa parte del mondo, li diamo per scontati…».
A proposito di valori etici e scelte professionali, lei di recente ha scritto un libro, “Il coraggio di provarci”. Che cosa racconta?
«Mai avrei pensato di scrivere un libro, tanto meno un’autobiografia. Poi però ho pensato che forse la mia esperienza, quella che io chiamo la mia storia controvento, potesse nel suo piccolo dare un piccolo incoraggiamento a tutte quelle bambine, ragazze, giovani donne che si trovano a decidere il proprio futuro professionale. Sono nata in un paesino di provincia di duemila abitanti, da genitori normalissimi, insegnanti, alla materna la mamma e alle medie il papà. Il mio sogno era fare l’amministratore delegato. Ho avuto una grande fortuna: un padre che mi ha incoraggiata dicendomi che avrei potuto passare la vita a lamentarmi di quello che non avevo fatto, oppure rimboccarmi le maniche e mettermi a correre. Mi ha fatto capire quanto è importante avere il coraggio di provarci. Se non ce la fai pazienza, ma almeno hai provato a dare il meglio di te. Questo è stato il primo di tanti insegnamenti sulla leadership, arrivato dalla mia famiglia, e poi anche dal mio percorso nelle aziende nelle quali ho lavorato».
Monika Pascolo